È la persona che vorrebbe essere? (sorride) «Oh perbacco... Work in progress, ci sto lavorando».
Invece la sciatrice, è quella cui ambisce essere? «Vale la stessa risposta. Anche su questo fronte sto ancora lavorando».
In che cosa? «Se mi guardo indietro, ai risultati della mia carriera, probabilmente ho vinto molto di più di quello che avrei sognato di vincere da bambina, ma ho la consapevolezza di poter dare molto di più e voglio continuare a cercare di esprimere quel potenziale che ancora non ho espresso e a continuare a scoprirmi. Non si smette mai di evolvere. Detto questo, forse dovrei guardare con più fierezza a me stessa e alla sciatrice che sono, invece nelle mie analisi introspettive, praticamente ogni giorno, mi metto sempre sotto una luce molto molto critica».
Perché? «Perché sono fatta così».
In questa stagione in cosa si è criticata di più e invece cosa le è piaciuto di più? «Mi sono messa in discussione un po’ perché nel percorso intrapreso sul gigante, del quale sono molto contenta, non sono riuscita ad osare e fare di più come riesco in allenamento. Ma lo sport non è aritmetica. Ho anche contestato a me stessa la paura che avevo ad Altenmark, ma allo stesso tempo la cosa di cui sono più fiera è stato proprio lo switch dalla caduta in superG alla vittoria in discesa».
In effetti l’abbiamo vista piangere: Sofia così dura in pista e così fragile fuori. «Penso di essere una ragazza che vive molto tutto quello che fa con intensità. Forse per quello arrivo alla gente. In me l’euforia e la felicità per una vittoria sono molto meno alte nel loro picco rispetto al dolore di una gara andata male per non essere riuscita ad esprimersi come volevo o non essere riuscita ad essere me stessa. Quel giorno ad Altenmark avevo davvero dei fantasmi che mi tormentavano».