Salas,un bomber in bianco e nero

Dopo i trionfi con la Lazio da protagonista, la sfortunata parentesi del Matador alla Juve tra infortuni e vittorie
Salas,un bomber in bianco e nero

Il Cile si prepara al Natale del 1974, ma la situazione politica è preoccupante: il golpe di Pinochet è uno squarcio ancora fresco nella storia del Paese e la giunta militare ha ormai nelle mani il potere legislativo. A Temuco, il giorno della vigilia, alla famiglia Salas Melinao nasce un maschietto: José Marcelo. Il bambino cresce col pallone tra i piedi: prima in strada, poi nel Santos, la squadra della città. Dopo otto anni arriva la chiamata più importante, lo vuole l’Universidad de Chile. È già un punto di riferimento delle giovanili a 15 anni. Nel 1993 è in prima squadra e la stagione seguente è titolare inamovibile della formazione che vince per due anni di fila il campionato cileno. Marcelo segna in tutti i modi, in area di rigore è una sentenza.

MATADOR. Nella Copa Libertadores del 1996 l’Universidad incontra il River Plate, che sfrutta l’incontro per sondare il territorio. Il ragazzo fa gola a molti club, tra cui il Boca Juniors, con il quale si è incontrato una settimana prima. È battaglia, come al solito, tra le due squadre di Buenos Aires e alla fine hanno la meglio Los Millonarios. Salas finisce in uno squadrone: gioca con Sorin, Pablo Aimar, Matias Almeyda, Marcelo Gallardo, Ariel Ortega, Enzo Francescoli. Il primo gol lo segna proprio contro gli eterni rivali, alla Bombonera, ed è lì che diventa El Matador: dopo la rete mette un ginocchio a terra e punta un dito al cielo. Da lì in poi sarà la sua esultanza. Con Ramon Diaz in panchina il River vince per la prima volta sia Apertura che Clausura. Nel dicembre 1997 arriva anche la Supercoppa Sudamericana, vinta contro il San Paolo grazie a una doppietta del Matador nella finale di ritorno. Quell’anno viene eletto calciatore dell’anno, davanti a Solano e a Chilavert. Le porte del calcio europeo si spalancano e Sergio Cragnotti lo strappa alle concorrenti, pagandolo a peso d’oro.
ANNI TRIONFALI. Arriva in Italia dopo i Mondiali in Francia, ama Roma, il cibo, l’ambiente e odia una cosa: i paragoni con Ronaldo. Giocare con Mancini alle spalle e Christian Vieri come compagno di reparto lo ispirano. Arriva subito il primo trofeo: la Supercoppa Italiana 1998 contro la Juventus. I primi gol li segna in Coppa Italia, una doppietta al Cosenza, poi ingrana anche in campionato e chiude la sua prima stagione in Serie A con 15 reti, miglior marcatore della squadra. La Lazio vola anche in Europa e vince l’ultima edizione della Coppa delle Coppe contro il Maiorca. Nell’agosto ‘99 si va al Louis II di Montecarlo, per sfidare i vincitori della Champions League: il Manchester United. Al 35’ del primo tempo arriva la stoccata del Matador, che ammazza i campioni d’Europa: controllo di petto e fulmine di sinistro, Van der Gouw non trattiene e i biancocelesti vincono un altro trofeo continentale. È l’inizio di una stagione storica, quella del centenario, del secondo scudetto e di un’altra Coppa Italia. Salas, ancora una volta, è il miglior marcatore in campionato della squadra e a ogni gol s’inchina davanti al suo pubblico, davanti alla Curva Nord, che lo osanna sempre più. La Lazio è una colonia sudamericana, fatta da campioni del calibro di Juan Sebastian Veron, Diego Pablo Simeone, Nestor Sensini. C’è il suo caro amico ai tempi del River, Matias Almeyda, e l’anno successivo arrivano altri due grandi attaccanti: “El Valdanito” Crespo dal Parma e “El Piojo” Lopez dal Valencia, che aveva buttato la Lazio fuori dall’Europa pochi mesi prima. Con il tricolore sul petto la squadra di Sven GÖran Eriksson non riesce a replicare la gloriosa stagione precedente: in Champions non supera il secondo turno e in Coppa Italia viene eliminata dall’Udinese. L’allenatore svedese si dimette e arriva Dino Zoff, ma in Serie A la Lazio è terza, alle spalle di Roma e Juventus. È l’ultimo capitolo di un’esperienza favolosa, chiusa con il trasferimento in bianconero per 25 miliardi di lire.
JUVE E RITORNO A CASA. A Torino, però, El Matador viene colpito dalla sfortuna. Si rompe il legamento crociato e rimane fuori tutta la stagione, chiusa con la vittoria dello scudetto. Marcello Lippi non gli concede spazio neanche quando torna a disposizione: poche apparizioni in campionato e qualche comparsata in Champions League, con la Juventus che perde ai rigori la finale dell’Old Trafford contro il Milan. Aggiunge al suo palmarès un altro tricolore e una Supercoppa. Rimane sotto contratto con i bianconeri, ma chiude la sua avventura italiana. El Matador ripercorre la strada al contrario. Prima di tornare a casa, all’Universidad de Chile, si ferma due anni al Monumental, dove con il River Plate conquista un’altra Clausura, nel 2004, e la semifinale di Copa Lipertadores nel 2005. Poi di nuovo a Santiago, dove tutto è iniziato, dove s’è fatto conoscere dal mondo latino americano prima di sfondare in Europa. Nel dicembre 2006 la U lo lascia svincolato, ma Marcelo ama troppo quel club ed è disposto ad aspettare che la società ritrovi i fondi per tornare a giocare: passano sei mesi, fa un provino per giocare in MLS, ma poi torna in Cile e “mata” fino al 2008.

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