Anime di periferia: Yuma Santoro, da Corviale a Roma Nord

A Yuma piace stare sotto i portici di Corviale, ma la sua vita lo sta allontanando dal quartiere in cui è cresciuto per mostrargli altri orizzonti.
Anime di periferia: Yuma Santoro, da Corviale a Roma Nord

Da un’adolescenza costellata di piccole risse, un arresto e qualche lotta territoriale, a 22 anni Yuma gioca come ala nell’S.S. Lazio Rugby 1927, squadra in Top 12, con uno dei suoi migliori amici ha avviato il marchio di abbigliamento streetwear Murder stuff. «Il rugby mi ha salvato dal degrado. Mi ha fornito una valvola di sfogo fisica. Quando ero più giovane mi arrabbiavo, litigavo. Io sono uno positivo, ma tengo le cose dentro, accumulo». Yuma è, insieme a Valeria e Lorenzo, uno dei protagonisti di Anime di periferia, documentario scritto e diretto da Antonella Matranga che fotografa un microcosmo, ossia la squadra di rugby Arvalia Villa Pamphili, per raccontare un mondo, quello di una periferia di Roma e della gioventù che le ruota attorno. Racconta la fatica, gli allenamenti, la voglia di emergere e di trovare un aiuto economico per risollevare le sorti di un club e del suo campo, che simboleggia anche un luogo virtuoso nel quale crescere, formarsi come uomini, trovare una propria dimensione morale e di vita. La diffusione del docu-film è realizzata in collaborazione con Corriere dello Sport e Tuttosport. Ogni settimana i tre giovani raccontano le loro storie e le loro vite su corrieredellosport.it e su tuttosport.com grazie a interviste esclusive, mettendo a nudo i loro sogni e le loro aspirazioni. L’avventura di Yuma è iniziata da giovanissimo e il suo rapporto con il rugby è cresciuto con lui.

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Nella storia i ragazzi arrivano fino a Milano per conoscere i rugbisti della Stella Rossa, assistono agli allenamenti della Nazionale e Yuma incontra vecchi compagni di squadra.

«Ho giocato nelle nazionali giovanili e poi nella squadra maggiore di rugby a 7, ma ora ho anche altri sogni», dice. E ha le idee molto chiare su chi è e chi vuole essere. «Il mio passato turbolento fa parte di me, non lo nascondo, non me ne vergogno. Se sono così ora è anche grazie a quello che ero prima». Un lottatore, forte, tenace, ha subito molti infortuni nella sua vita sportiva. Ma il rugby l’ha reso più forte. «In campo ci sarà sempre uno più grosso di te e questo insegna, anche fuori, a superare tutte le difficoltà». Tra i desideri di Yuma c’è però quello di tornare su un prato e vedere giocare i più piccoli con la palla ovale. Per trasmettere loro quello che sa. Insegnare e insieme imparare da loro. L’incontro intergenerazionale, che nel documentario sostenuto da Fondazione Cariplo è incentrato sulla figura del mentore-allenatore dell’Arvalia Salvatore Gallo e sui suoi ragazziè uno degli aspetti principali del documentario, ma anche dello sport, in cui ognuno in ogni allenamento e partita dà e riceve. Yuma, il cui nome nel linguaggio degli indiani d’America significa “Figlio del capo tribù”, dice: «La cosa più importante che ho imparato nella mia vita di rugbista è fidarmi, condividere. Chi ti sta intorno è fondamentale, e se glielo permetti ti aiuta. Io sento di essere sempre stato un leader, dentro e fuori dal campo, e sempre lo sarò, perché la gente di me si fida». Nella sua vita sembrava mancare solo l’amore. «Ora no. Ho trovato una ragazza speciale, per lei ho perso la testa. Sono felice, pronto per il mondo».

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