D’accordo, giochiamo a carte scoperte. Qual è il problema? C’è troppa Italia nel tennis? Gli inglesi non lo dicono per le vie spicce, non a noi italiani quanto meno. I francesi sono stati più diretti, il giorno della finale al Roland Garros lo Chatrier garantiva a Sinner un tifoso ogni quattro sostenitori di Alcaraz. Il minimo sindacale, come si può intuire. Ce l’hanno con noi? Inutile rispondere e argomentare, se dici di sì ti liquidano come italiano piagnone, però a piangere sono loro in questo momento, e non c’è modo di consolarli. Il presidente Atp è italiano, il suo vice pure, e se cambia (come è successo) viene scelto un altro italiano. La Davis è nostra da due anni, ammesso (ma non concesso) che abbia ancora il compito di individuare la scuola migliore che vi sia. E anche il numero uno è italiano, piaccia o meno, si chiama Jannik Sinner e attaccarlo sul piano tennistico poco conviene.
Attacchi infiniti
Anche l’ultimo degli addetti ai lavori sa che quella posizione di primato non è contestabile. Mettiamola così: possono batterlo in due. Uno perché è bravo a sufficienza per farlo, l’altro perché nei casi della vita c’è sempre (in forma random) chi è pronto a firmare l’impresa. Ma gli altri quasi non vale la pena che sprechino tempo a scendere in campo. E allora lo attaccano in altro modo, su altri piani, qualcheduno generosamente offerto dalla stessa ditta della Volpe, che in questi casi proprio volpe non è. E sono attacchi che pesano, e fanno pensare che qualcosa stia cambiando fra il ragazzo che tutti ci invidiano e l’universo mondo degli invidiosi. Anche perché non si tratta più di malmostose interpretazioni alla Kyrgios, ma di sortite inaspettate da parte di ex grandi campioni che il tennis sta ad ascoltare.