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Musetti, è una sconfitta che ti porta fra i grandi

Musetti, è una sconfitta che ti porta fra i grandi EPA
Lorenzo nel terzo set ha accusato un problema muscolare, l’orgoglio lo ha fatto restare in campo

Tra le spire del vento che solleva nuvole di terra rossa, si annidano le amarezze di una giornata ammantata d’illusioni. Non te la prendere, Musetti, evita di farti travolgere dall’amarezza. Non era la domenica del trionfo tanto atteso, nella quale chiedersi se sia più grande la vittoria in un Masters 1000 o il primo ingresso nel Club dei Molto Forti. E nemmeno la domenica dei sogni, che a volte sembrano prendere forma solo per ammonirti di restare con i piedi per terra. Sono bastati due set e un game ad assegnare il titolo di Montecarlo ad Alcaraz. Il terzo set è come se non si fosse giocato. Musetti ha avvertito un muscolo della gamba smettere di collaborare, e ha potuto fare solo atto di presenza. Avrebbe potuto anche ritirarsi, dal suo box glielo hanno consigliato più volte. Ma all’orgoglio, quando c’è, come si fa a dire di no?

Verso la Top ten

Ciò che resta a Lorenzo è la carezza di chi voglia consolarlo, l’applauso di chi ha capito, l’approvazione di chi sa cogliere i suoi progressi, le parole di speranza di chi lo spinge a continuare sulla strada che ha ormai imboccato. È quella giusta, anche se non ha portato al raccolto che lui aveva immaginato. Per quello c’è ancora da aspettare.  Basta non perdersi d’animo e tenere a bada i rimpianti, che colorano di grigio tutte le storie più belle. “Perché mai una parvenza di spiraglio dovrebbe illividire all’angolo della volta?” si chiedeva Arthur Rimbaud nelle sue “Illuminazioni”. Può rispondere anche Musetti, se ne ha voglia, oppure farlo quando i neri cumuli che lo circondano si saranno sfilacciati tornando ad assumere il colore del cielo. Allora gli sarà più facile ragionare, e riflettere sulle basi formidabili che ha costruito per l’edificio che raccoglie il suo tennis, per aver imparato a soffrire e sentirsi grande, come gli diceva il nonno quando lui lanciava l’ennesima sfida al muro dello scantinato dove ha imparato a giocare da artista. Potrebbe ripensare a questo torneo in riva al mare, che l’ha visto soffrire con Bu e Lehecka, scansare Berrettini, disinnescare Tsitsipas e scatenarsi nei due ultimi set contro De Minaur. E permettersi perfino un guizzo di rasserenante orgoglio, nel misurare, da questa mattina, la nuova classifica, per vedersi avanti di cinque posti, ormai undicesimo, a un solo passo dalla porta del Club che il tennis chiama Top Ten.

La finale di Musetti

Potrebbe anche chiedere all’amico Carlitos, che conosce da quando, quattordicenni, giocavano a fare i campioni di tennis, come si è sentito quando gli ha frenato con mano artigiana gli slanci sin troppo arroganti con cui intendeva prendere il sopravvento. Lì Musetti l’ha come tirato per la giacca, quasi redarguendolo con la facilità delle contromisure adottate, e ha ribaltato quel teatrino di colpi nati per il bisogno inarrestabile di meravigliare il pubblico riducendolo a un festival di petardi sparati a vanvera. Ha mostrato le sue magie, Muse, che sono sempre terrene e mai impalpabili come effetti speciali. Ha alzato la traiettoria dei colpi, ha costretto lo spagnolo ad arrampicarsi per poterne disporre e sui primi varchi che si sono aperti, dopo un break subito nel primo gioco, Lorenzo ha colpito negli angoli, ha restituito una a una le smorzate più velenose, ha esaltato il pubblico con una veronica sulla quale lo spagnolo ha finito per accartocciarsi. Due break di seguito e dal 4-1, via libera per la conquista del primo set. C’era gran trambusto, nell’angolo spagnolo, per il trattamento riservato da Muse al loro datore di lavoro. Juan Carlos Ferrero non era presente, ma i sostituti sanno bene quali sono i comandamenti del capo. Giocare i colpi che servono al match, senza cercarne altri solo per strappare applausi. C’è un conflitto evidente, tra i massimi esponenti del team. Alcaraz non sembra intenzionato a rinunciare al tennis spettacolo, lo sostiene in ogni intervista che rilascia, ma non è così fesso da mettere in discussione un torneo della massima serie, tanto più in finale. Ha cambiato atteggiamento, dall’inizio del secondo, infatti, e ha collezionato subito i break che servivano a staccarsi da Musetti. Lì si è visto di che cosa sia capace Alcaraz quando evita di fare lo sbruffone, ed è un bendiddio di roba, per di più lavorata al doppio della velocità consentita ai tennisti, ahiloro, normali. Due break e il punteggio era già 5-0…

Alcaraz mette Sinner nel mirino

Ma Musetti era ormai in rimessaggio. Il quadricipite della coscia destra, vicino all’inguine, dava segni d’impazienza. Ha tenuto ancora un game poi si è messo nelle mani del fisioterapista. Ha accettato di continuare, costretto a fare a gara con se stesso per non sbagliare subito. E dal secondo game della terza partita ha rimediato appena tre “quindici”. Match chiuso. Alcaraz conquista la sesta finale delle sette giocate nei Masters 1000. Ha vinto due volte a Indian Wells e Madrid, poi Miami e ora Montecarlo, la prima volta. Guadagna 1000 punti tondi e torna ad attaccare il podio di Sinner (senza possibilità di riprenderlo prima di Roma). Ora è distante 2.210 punti, secondo dopo aver scavalcato Zverev. E si pone al comando della Race, 2400 punti contro i 2000 che Jannik ha ricavato dagli Australian Open. Sono occorsi cinque tornei per operare il sorpasso. Troppi. Musetti salta Barcellona e punta su Madrid. Ha tempo per recuperare il buonumore. Sinner da oggi torna libero (a metà). Potrà allenarsi in qualsiasi club e farlo con i tennisti del Tour. Ha tre settimane per trovare la forma che serve, poi da Roma in avanti si preoccuperà del ritmo-partita. Non date per scontato che già al rientro sarà in grado di battere tutti. Però potete dare per scontato che ci proverà.

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