L’ unica A che trova spazio nello spogliatoio della Juve Stabia è l’iniziale della parola ambizione. L’ambizione di "migliorare ogni giorno attraverso il lavoro". Ambizione e umiltà sono i due poli della batteria che ha spinto la squadra di Guido Pagliuca dall’obiettivo salvezza nello scorso campionato di Serie C all’attuale quinto posto in Serie B, in piena corsa playoff.
Pagliuca, andare a giocarvi la Serie A è uno stimolo in più?
"Intanto siamo felici per la salvezza che per noi era già un traguardo difficilissimo. Il nostro obiettivo è il percorso. Siamo la seconda squadra più giovane della B (dopo il Frosinone, ndr) e il piacere nostro è far crescere tutti i giocatori, attraverso il lavoro quotidiano di un gruppo splendido, con valori morali altissimi, che dà sempre tutto per la società, per la maglia e anche per le ambizioni personali, con grande dedizione. Quando c’è la predisposizione e credi in un sogno, lavori in armonia e in modo molto serio. Questo è importante".
È il segreto di queste due stagioni?
"Partire per salvarci e vincere un campionato come quello passato, contro squadre come Benevento, Catania, Avellino, è stata una grandissima soddisfazione. Merito di un gruppo eccezionale e della società: dal presidente Andrea Langella, una persona di qualità che non ci fa mancare niente, al direttore sportivo Matteo Lovisa, conoscitore di giocatori e sempre vicino alla squadra, a uno staff a cui piace studiare e portare quello che può servire al singolo e alla squadra. E poi tutte le persone che lavorano dietro le quinte. Questa unione e l’entusiasmo di una piazza straordinaria hanno determinato la crescita individuale e collettiva che ha portato a questo percorso".
Un po’ di merito sarà anche dell’allenatore, fresco di Panchina d’oro...
"Io sono l’ultimo ingranaggio del meccanismo. La Panchina d’oro è stata un’emozione bellissima, perché assegnata da colleghi che ho studiato e ai quali ho rubato tante idee. Poi quella situazione ti emoziona. Ritrovarmi lì dopo essere partito dal niente fa piacere, è normale. Però ripeto: io metto tutta la mia passione, tutto quello che conosco, ma i principali artefici sono i giocatori".
Parliamo di quello che c’è stato tra la partenza e la Panchina d’oro.
"Ho iniziato a Cecina, la mia città, nelle giovanili e poi da secondo di Massimiliano Maddaloni in prima squadra. Quando lui passò alle giovanili della Juve la società affidò a me la prima squadra e dopo due anni con l’obiettivo della salvezza mi sono ritrovato a Borgo a Buggiano dove, di nuovo con l’obiettivo salvezza, vincemmo il campionato di Serie D. E da lì è iniziato un po’ il mio percorso. La svolta c’è stata quando alla Cremonese ho fatto il secondo di Marco Baroni, allenatore eccezionale e persona straordinaria. Prima ero sempre rimasto vicino a casa, per lavorare nell’impresa edile di mio padre oltre ad allenare: Serie C e Serie D oggi ci sono, ma domani non ti permettono certo di vivere di rendita. A Cremona grazie anche all’aiuto della famiglia ho deciso di puntare sul calcio. E sempre lì ho capito tante dinamiche che avendo avuto una carriera di basso profilo da calciatore non conoscevo. E ho compreso l’importanza di arrivare alla partita con la giusta distanza. Prima vedevo ogni partita come l’unico momento in cui io sconosciuto potevo scalare le categorie: o vinci o fai un passo indietro. Questo mi portava stress, quando invece capisci la giusta distanza vivi meglio e fai vivere meglio chi hai intorno: mi sono messo in discussione e mi sono rivolto a uno psicologo, Fabio Ciuffini, che negli ultimi 4-5 anni mi ha aiutato ad avere equilibrio nell’affrontare la settimana e l’evento".
Parla spesso dell’importanza del gruppo: come lo si costruisce?
"Tutto parte dai valori morali delle persone. Poi io definisco il calcio un gioco organizzato e responsabile. Un gioco perché alla base ci deve essere il divertimento: nel divertimento crei le connessioni, l’empatia tra i giocatori. Poi deve essere anche organizzato: servono lavoro, dedizione e valori morali. E poi c’è bisogno della responsabilità: verso chi ti dà un lavoro, la tifoseria, la maglia. Quando queste tre cose sono chiare, determinate connessioni nel gruppo vengono meglio".
Sul campo quali sono le sue idee?
"Col tempo ho capito che il giocatore è alla base del progetto, nel quale poi ci sono le tue idee. Idee che devi sentire dentro, perché solo così i puoi farle arrivare bene al giocatore, che è la cosa più importante. Le mie sono il frutto delle esperienze e dello studio, e cambiano perché lo impone l’evoluzione del calcio: due anni fa per me fase difensiva di reparto e fase offensiva posizionale erano idee cardine, oggi utilizzo anche l’uomo su uomo in fase difensiva e, pur mantenendo la fase offensiva posizionale, all’interno della strategia di gara può esserci più o meno mobilità. Perché la strategia di gara deve tenere conto degli avversari e il loro studio è fondamentale".