TORINO - Prima di frugare nel cassetto dei ricordi serve un passo indietro. Paolo Vanoli all'ambiente Toro ha sempre ripetuto una frase: «Sono venuto qui per unire». Quasi uno slogan politico, che ha scandito più volte nel corso della stagione. Ma quella volontà, in un certo senso, gli è costata cara. Cairo, infatti, è stato lapidario a fine campionato: «Invocare la storia serve a poco: contano i risultati, altrimenti si allenano i tifosi e non i giocatori». Un dietrofront, di fatto, rispetto alle premesse dell'avvento di Vanoli. Ma il tecnico di Varese, un anno fa, arrivò per cercare di sanare anche i rapporti tra società e parte tecnica, giocatori compresi. In un'intervista a Calciomercato.com, l'ex capitano Ricardo Rodriguez - oggi perno difensivo del Betis - ha parlato dei suoi trascorsi al Toro. Partendo dal suo primo anno, diviso tra la gestione Giampaolo e Nicola: «Anche in quella circostanza, dopo il periodo al Milan, prima gioco e poi sempre meno. La squadra non andava bene, la società mi diceva che dovevo fare di più. Arriva Nicola e non gioco più, ricordo che in panchina c'era sempre il ds Vagnati, diventato molto freddo con me. In tanti anni di carriera non avevo mai visto un dirigente in panchina, questa cosa non mi andava bene».
E pensare che Rodriguez, dopo la partenza di Andrea Belotti, è diventato il capitano del Toro. Eppure il tono nei confronti della sua ex società non è certo amorevole: «Appena vedo Juric gli dico che voglio andare via, spiegandogli che non mandavo giù il fatto che un dirigente andasse in panchina. Lui mi disse: “Con me non succederà, fidati”. Mi sono fidato. Ha cambiato modulo, ma ha trovato il modo di farmi giocare mettendomi braccetto, quell'anno sono rimasto al Torino solo per lui. E Vagnati in panchina non c'era più». Insomma, un ambientino decisamente poco raccomandabile.
"Nemmeno salutato"
Rodriguez incalza ancora, affrontando il tema della fascia da capitano: «Non volevo farlo, se me l’avessero chiesto Cairo o Vagnati avrei detto di no. Ma siccome è stata una volontà di Juric, allora ho accettato». Così come ha accettato di farsi da parte a Superga, per un bene maggiore. Per Alessandro Buongiorno, figlio del vivaio del Toro, ma soprattutto granata nell’anima: «Lui è cresciuto nel settore giovanile del Torino e conosceva il club molto meglio di me. Sapevo già allora che avrebbe avuto una grande carriera e l’ha dimostrato con il suo modo di giocare».
Rodriguez, poi, dedica ancora qualche caramella a Juric, riferendosi al suo gol dell’addio realizzato contro il suo ex Milan a maggio dell’anno scorso: «E ho anche esultato. Era l’ultima partita in casa, sapevo che Juric se ne sarebbe andato e che di conseguenza sarei andato via anch’io. Anche perché la società non ha fatto nulla per trattenermi a Torino: così il mio contratto è scaduto. Non mi hanno nemmeno salutato, nonostante fossi stato capitano per due anni e avessi dato tutto per questo club. Una cosa del genere non mi era mai successa in tutta la mia carriera». Ovviamente non esiste un contraddittorio. Però è evidente che Rodriguez non avesse solo dei sassolini nelle scarpe, ma dei macigni. Così ha riaperto una ferita lunga tre anni.