Andiamo avanti nella lettura, ricominciamo da dove ci siamo dovuti interrompere sul giornale di ieri. Procedimento penale del 1949 sulla tragedia di Superga, copia originaria (e completa) dell’epoca in carta da bollo trovata da Tuttosport, di proprietà di un privato (il fascicolo originale, come spiegato nei giorni scorsi, risulta invece da decenni irrintracciabile negli Archivi di Stato e nei Tribunali). Pagina 19, «verbale dell’interrogatorio di Tournoud Severino», in servizio (da solo, in quel momento) nella stazione dei carabinieri di Superga, primo a intervenire sul luogo della tragedia, pressoché immediatamente. Quel carabiniere (dimostratosi molto coraggioso, così come gli altri 5 soccorritori che di lì a poco lo raggiunsero) era ad appena una cinquantina di metri di distanza: «Alle ore 17 del 4 maggio essendo in servizio di piantone (…) mi trovavo nella sala di mensa (…) allorché sentii un rombo fortissimo di apparecchio che si avvicinava a bassa quota e subito dopo uno schianto potentissimo paragonabile ad una bomba (...). Mi precipitai sul posto lontano circa 50 metri (…) e qui mi apparve l’orribile spettacolo di un apparecchio avvolto in un rogo di fiamme e sfracellato (...). Dopo aver trascinato fuori dalle fiamme il cadavere di una persona (...), precipitosamente rientrai in caserma allo scopo di telefonare sia per avvertire i miei superiori sia (...) per chiedere i soccorsi. A tale scopo telefonai ai vigili del fuoco (...). Dal momento dello schianto (...) a quello in cui parlai con il numero 2222 dei vigili del fuoco sono trascorsi più di 15 minuti. (...) Subito dopo (...) riappesi il microfono e nuovamente mi precipitai sul luogo del sinistro (...). Prestai i primi soccorsi unitamente ad alcuni civili abitanti in Superga che poco dopo il disastro erano giunti sul posto. Con tali persone cominciai ad estrarre dai rottami dell’apparecchio ancora in fiamme i cadaveri (...). Sia nell’istante in cui giunsi sul posto sia durante il lavoro intrapreso per estrarre i corpi dai rottami (...) non ho udito gemiti di feriti. I vigili del fuoco sono giunti sul posto dopo circa 25 minuti dal momento in cui feci la telefonata (quindi dopo almeno 40 minuti rispetto all’ora della tragedia: intorno alle 17 e 40, insomma; ndr). Tutti gli oggetti o documenti (...) rinvenuti sul posto sono stati da me portati in caserma».
Nobilissimo coraggio
Seguono poi gli interrogatori degli altri 5 soccorritori, i primi a essersi precipitati sul luogo della tragedia: e la pietà umana e il nobile coraggio di tutti loro, in quella tragedia orribile, spaventosa, si staglia alla memoria, tra le fiamme. L’umanità e il coraggio di quelle 6 persone che speravano (pia, vana illusione) di trovare dei feriti da soccorrere: ecco l’unico elemento di vita che pulsa in quel panorama di morte da inferno dantesco (la nebbia fitta, la pioggia battente, i rottami dell’aereo sparsi terribilmente dappertutto, l’incendio subito divampato, i cadaveri sfigurati, le lingue di fuoco nella tempesta). Continuiamo ad avvalerci anche della preziosa collaborazione dell’avvocato Claudio Caminati del Foro di Torino, al nostro fianco nell’analisi di questa copia di inizio Anni 50 del procedimento penale del 1949. Dopo quello del carabiniere Tournoud, nel fascicolo «si allegano i verbali di interrogatorio di Belladonna Ugo (...), comandante la stazione meteorologica di Superga; Fenoglio Enrico (...), esercente; Rocco Amilcare (...), muratore; Rocco Alberto (...), muratore; Pavesio Luigi (...) autista»: questi ultimi 4, residenti a Superga. Sono pagine e pagine di interrogatorio, descrizioni anche sconvolgenti, testimonianze fondamentali per gli inquirenti (copiamo soltanto qua e là per doverosa pietà umana, per rispetto dei 31 Caduti e delle loro famiglie, e per evidenti ragioni di sintesi). Belladonna, comandante della stazione meteorologica di Superga: «Alle 17 del 4 maggio mi trovavo nel mio alloggio sito al piano superiore della Basilica di Superga (…) allorché udii il rombo di un apparecchio che si avvicinava (…). Alcuni istanti dopo, uno schianto potentissimo (…). Mi precipitai…». Il comandante racconta ciò che vide, quindi spiega che tornò nella sua stazione meteorologica per «avvertire immediatamente dell’accaduto i miei superiori e all’uopo telefonai al campo dell’Aeritalia», il piccolo aeroporto dove di lì a pochi minuti era atteso l’aereo del Grande Torino. Gli rispose «il capitano Couz», al telefono. «Mi ordinò di accertarmi di quale tipo fosse l’apparecchio». Così il comandante della stazione meteorologica di Superga corre di nuovo sul luogo della tragedia, quindi «nel lasso di 5 minuti» Belladonna richiama l’aeroporto: «Mentre fornivo le indicazioni, il capitano (Couz, ndr) mi disse che quasi certamente trattavasi dell’apparecchio che doveva trasportare in sede i giocatori della squadra del Torino provenienti da Lisbona». All’aeroporto avevano già compreso tutto. Anche perché, come si vedrà successivamente continuando a leggere il procedimento penale, i due marconisti e telegrafisti (in contatto radio con l’aereo dalla torre di controllo dell’Aeritalia) già dalle 17 e 03 non riuscivano più a comunicare con l’apparecchio. Belladonna torna sul luogo del disastro. Un civile giunto anche lui in soccorso gli consiglia di avvertire i vigili del fuoco (cosa che intanto stava già facendo anche il carabiniere Tournoud, in altri locali della Basilica). La concitazione è massima, Belladonna torna per la terza volta nella sua stazione: «Feci il numero 2222» (emergenza, vigili del fuoco). «Dissi che dietro la Basilica di Superga (…) un apparecchio (…) stava bruciando (…). Il tenente di servizio mi rispose: “Veniamo subito”. (…) Dal momento dello schianto» a questa telefonata ai vigili trascorse «non più di un quarto d’ora». Nel procedimento penale seguono altri interrogatori: di 4 civili, primi soccorritori. Un negoziante, due muratori e un autista, tutti residenti a Superga, coraggiosissimi. Enrico Fenoglio: «Alle ore 17 e qualche minuto di ieri, 4 maggio (l’interrogatorio viene effettuato nella Stazione dei Carabinieri a Superga, 24 ore dopo la tragedia; ndr), mi trovavo sulla porta del mio esercizio (…), allorché percepii il rumore prodotto dai motori di un apparecchio che si avvicinava al paese (…)». Quel negoziante spiega che dalla porta del suo esercizio «in strada Superga 324 (…) si può dominare con lo sguardo su un tratto di orizzonte di circa 50 metri. Vidi sbucare dalla nebbia che era fittissima un grosso apparecchio che volando a bassa quota e cioè all’altezza circa delle case di Superga stava dirigendosi verso la Basilica. Subito ho immaginato che il velivolo non poteva evitare l’ostacolo (…). Quasi contemporaneamente udii uno schianto fortissimo e pensai che la mia previsione di pochi istanti prima si era avverata. (…) Mi precipitai di corsa sulla strada che conduce alla Basilica. (…) Mi si offerse lo spettacolo di un rogo di fiamme e di rottami (…). Pochi minuti dopo il mio arrivo (…), altre persone del paese sono giunte (…). Con esse subito mi lanciai tra i rottami dell’apparecchio in fiamme per estrarre eventualmente persone (…) ferite». Ma come dichiarato da tutti i soccorritori, si distinguono solo corpi senza vita in condizioni indescrivibili: «Estraemmo così circa 20 o 22 persone oramai cadaveri» (31, le vittime totali: tutti coloro a bordo; ndr). Mai «ho udito gemiti di feriti o urla». Tutti e 31 morti nell’istante dello schianto: solo in questo il destino ebbe pietà, a Superga. «Tutti gli oggetti e i documenti che rinvenivo (…) li ho consegnati al carabiniere Tournoud (…)». Poi l’interrogatorio «reso il giorno 5 maggio (…) da Rocco Amilcare», muratore, sempre presso la Stazione dei Carabinieri a Superga. «Verso le 17 di ieri», spiega, «mi trovavo nel mio domicilio», non lontano dalla Basilica. «Rocco Alberto» (fratello di 7 anni più giovane, classe 1908, anche lui muratore) «e Luigi Pavesio», autista, si trovavano invece «nella Cooperativa di Superga», vicino all’abitazione di Amilcare Rocco. Tutti e tre dichiarano praticamente in coro: «Sentimmo un forte schianto (…). Intuita fosse accaduta una disgrazia, ci precipitammo in direzione della Basilica (…). Ci apparve alla vista un cumulo di rottami (…) dai quali salivano fiamme e fumo. Preoccupatici della sorte dei passeggeri, ci lanciammo tra i rottami per tentare di estrarre (…) persone (…). Estraemmo così assieme a Fenoglio Enrico (il negoziante citato in precedenza, ndr) che ci aveva preceduto sul posto e ad altre persone che sopraggiunsero più tardi i cadaveri di numero 26 persone resi irriconoscibili. (...) Non abbiamo udito gemiti od urla di feriti che invocassero aiuto. Escludiamo nel modo più assoluto che qualcuno dei passeggeri (…) abbia potuto sopravvivere solo per pochi istanti dopo l’urto. I vigili del fuoco sono giunti sul posto del sinistro alle ore 17,40 circa (…). Successivamente abbiamo continuato la nostra opera di soccorso ininterrottamente sino a che non furono estratti tutti i cadaveri dai rottami (…). Tutti gli oggetti e documenti» rinvenuti «li abbiamo consegnati al carabiniere Tournoud Severino, unico presente nella Caserma dell’Arma».