TORINO - Un aspetto del Maradona, ai tifosi granata, ha fatto particolarmente effetto: l’entusiasmo, la partecipazione ai destini di un Napoli che l’imperfetto ma vincente Aurelio De Laurentiis ha nobilitato, finendo per rendere gremito e pulsante lo stadio intitolato al più grande di tutti, al primo a vincere lo scudetto con il club azzurro. Ecco, tra il 1° posto del Napoli e il 10° cui pare inesorabilmente inchiodato il Toro c’è tutta una gradazione di tonalità. Alla società di Cairo mai la tifoseria ha chiesto lo scudetto, e non perché farebbe schifo ripetere le gesta della squadra che per ultima lo vinse nel 1976, ma per il pragmatismo necessario a tanti tifosi di tanti club che, per alimentare una fede calcistica, sono costretti a calibrare le ambizioni.
La metafora del ristorante
Non molti possono cullarsi nel sogno di vincere lo scudetto, tanto meno nella speranza che il sogno si faccia obiettivo e poi traguardo. Lo aveva spiegato bene Antonio Conte, ora a quattro passi dal quarto scudetto dei campani e al tempo allenatore della Juve: «Quando ti siedi in un ristorante da 100 euro, non puoi pensare di mangiare con 10». Là rimarcando l’impossibilità per i bianconeri di puntare alla vittoria di una Champions rimasta cruccio e croce della società. Ma Conte parlava con la Juve dentro la Champions. Come se Vanoli potesse dire, dopo un’eliminazione nella fase a scontri diretti in Europa League, che al Toro mancano un paio di livelli per vincere una coppa internazionale. Ecco, questo sarebbe comprensibile, considerati i conti con i quali Cairo deve confrontarsi.
Futuro
La prospettiva dalla quale il Torino guarda se stesso e le altre è invece oggettivamente modesta, e per le emozioni che la classifica regala è già sorprendente e fin commovente l’affetto che la tifoseria granata riversa sulla squadra. Da ormai quasi 20 anni, tuttavia, la medesima tifoseria non partecipa più come aveva fatto l’11 giugno 2006 nella finale di ritorno dei playoff di B contro il Mantova (58.560 spettatori. Il Grande Torino ne può contenere al massimo 28mila, eppure raramente c’è stato il tutto esaurito). Già, con tutto il rispetto, ripetiamo a scanso di equivoci: quasi 60mila persone per un playoff di B contro il Mantova. Questo perché la Torino granata più di ogni altra piazza, Napoli compresa, sa dare anche ricevendo niente. Se però il niente è punto di partenza per costruire qualcosa, altrimenti pure la Torino granata, alla lunga, si scazza. Ecco perché la tifoseria commuove, per la capacità di continuare a sperare che dal niente fiorisca qualcosa. Una chimera, se dopo Buongiorno vendi Bellanova, e se in estate al sacrificio di Ricci dovesse seguire quello di Milinkovic o chissà chi altro. Detto che tutta in salita è la strada che conduce al riscatto di Elmas. Servono 17 milioni, e perché il Lipsia visto l’ottimo campionato del macedone dovrebbe procedere con uno sconto? Semmai, se il Toro si defilasse, aprirebbe l’asta per il suo trequartista. Sono leggi di mercato, che Cairo da eccelso imprenditore qual è conosce a meraviglia. Un po’ di meraviglia, una pennellata di magia, questo manca al Torino.
Le mosse di mercato
E se la tifoseria commuove, Vagnati lascia stupefatti nell’ostinarsi a sottodimensionare la sua società. «Gli interessi per Ricci e Milinkovic fanno piacere», ha dichiarato a Napoli, per l’ennesima volta derubricando il Toro a un club di passaggio, e urticando chi non si arrende alla mediocrità. Anche i tifosi conoscono le leggi del mercato, visto che in ogni famiglia normale, per una sera a cena al ristorante se ne fanno dieci o ben di più a casa. Anzi, sono proprio le famiglie normali, che conoscono il valore del sacrificio e che però sanno godere il beneficio dell’eccezione. Nel Toro manca l’eccezione, si cena sempre a casa, e viene il dubbio che il motivo non sia l’impossibilità economica di viversi una cena, ma la mancanza del desiderio di regalarsela. Quando in conferenza stampa post Napoli si chiede a Elmas se, a prescindere da presidenti e agenti, si fermerebbe volentieri a Torino, la risposta è implicita a quanto qui ha trovato: «Sono contento di essere tornato in Italia, qui sto benissimo e sto cercando di dare il massimo, i giocatori sono forti e l’allenatore è forte, vediamo cosa mi riserverà il futuro».
Ci possiamo anche allegare un cuoricino, ma mai un tuono. La forza dirompente di un “Farò di tutto per restare qui” resta un sogno, come la notte del Maradona per i napoletani. Loro però, guidati da Conte che è Il Matto dei Tarocchi (la carta che dà energia a tutte le altre), possono trasformare il sogno in obiettivo e poi in traguardo. Questo Toro, ora come ora, può semmai prolungare il sogno, che in tali condizioni è meglio della realtà. Che venerdì presenta la possibilità di un riscatto contro il Venezia con l’obiettivo del decimo posto. Non inutile in senso assoluto, ma sfibrante nella sua esasperante ripetitività.