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"Cairo venda il Toro! Non vale nulla davanti a Pianelli. Moggi non sapeva..."

Il grande ex granata sull'attuale situazione del club e la possibile cessione: "Almeno questa promessa deve essere mantenuta"

«Questo signore qui una ventina di anni fa mi diede una mazzata, quando mi chiamò per conoscermi e mi incontrò».

Questo signore qui: Urbano Cairo. All’inizio del suo ciclo.

«Andai a Milano, mi feci accompagnare da mia moglie. Ma alla fine dell’incontro mi disse una frase che mi fece rimanere di sale: “Lei, Pulici, è di difficile collocazione”. Mi ero già fatto un’idea abbastanza chiara su come ragionasse durante quella lunga chiacchierata, ma a quel punto, alla fine, non ebbi proprio più dubbi. E così gli risposi: guardi, allora è meglio lasciar perdere ogni discorso. Lo salutammo e uscimmo».

Anche sua moglie assistette all’incontro, quindi.

«Sì, certamente. Le avevo chiesto io di accompagnarmi, abbiamo sempre condiviso tutto e ci tenevo a sentire anche la sua opinione, dopo».

Sua moglie Claudia ha un’intelligenza fine e una forte personalità.

«Ma prima di partire da casa, da Trezzo, mi disse: “Paolo, ovviamente ti accompagno volentieri, però preferisco restare in silenzio, non dirò nulla. Ci parleremo poi dopo io e te, da soli”. E così fece. Con Cairo rimanemmo un paio di ore. Gli spiegai che cosa significasse essere del Toro, amare il Toro. Gli dissi che cosa rappresentava il Toro per me. E che cosa rappresenta per i tifosi. Gli diedi dei consigli. Rispettare i tifosi, non illuderli mai né prenderli in giro, programmare una crescita sostenibile nel tempo, ricreare un vivaio all’altezza, ricostruire il Filadelfia che era stato sciaguratamente ridotto in macerie, mantenere le promesse, curare e inseguire le ambizioni, essere all’altezza della storia gloriosa del club... Tutte cose di buon senso, insomma. Che mi uscivano dalla testa e dal cuore».

Dopo il fallimento del club di Cimminelli e la resurrezione con i Lodisti, quel Torino acquistato da Cairo era una scatola vuota: tutto o quasi da ricostruire.

«Tristissimo: il fallimento, la diaspora dei giocatori... Poi, per fortuna, la resurrezione del Torino 1906 con il Lodo Petrucci. Per cui davanti a Cairo si distendeva un mare di speranze e di potenzialità. Di belle cose da fare».

E lui cosa disse durante il vostro incontro?

«Poneva domande, commentava. Ogni tanto prendeva appunti. Finché, dopo quella lunghissima chiacchierata, se ne uscì con quella frase: “Lei, Pulici, è di difficile collocazione”. E poi ne aggiunse un’altra più o meno così: “Mi spiace, ma non saprei esattamente che ruolo proporle, che cosa potrebbe fare nel mio Torino”. Proprio così: Pulici era di difficile collocazione nel Toro, secondo lui».

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