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"Il vero Toro che vorremmo: Il Fila, i valori, il Museo, la comunicazione, l’identità, l’amore, i tifosi uniti. E il cairismo"

La tavola rotonda di Tuttosport con Giancarlo Caselli, Davide Boosta Di Leo, Steve Della Casa, Marco Ligabue, Marco Casardo, Oskar, Carmelo Pennisi, Willie Peyote, Paolo Quaregna, Stefano Radice

Quaregna: «Incontro tifosi del Toro dappertutto, anche controllori francesi sul Tgv... con la spilletta del Toro... Un patrimonio enorme, meraviglioso, da proteggere. Si respira una passione enorme intorno alla squadra in Europa e nel mondo: in parte viene a galla, si vede, in parte è soffocata sotto la cenere, sotto le braci, ma il fuoco c’è, ci sarebbe. Questi discorsi, come per esempio la realizzazione di una “Cittadella granata” tra il Filadelfia e lo stadio Grande Torino, non sono voli pindarici di noi tifosi. Sono state promesse di Cairo e delle istituzioni. Riprendiamo quella strada: anche le strutture sono importanti, come luogo di aggregazione per l’identità, l’orgoglio. Per far crescere nuovi tifosi in una culla riconoscibile». Pennisi: «E aggiungo una cosa: la storia del Grande Torino è magica, ci si commuove ancor oggi per qualcosa che non abbiamo mai visto».

Willie Peyote: «Questo Torino, come società, non trasmette amore puro, non coltiva la storia granata. Dal Grande Torino a Meroni a Ferrini allo scudetto del ‘76 ad Amsterdam ci potresti fare dei film, o una serie che su Netflix avrebbe successo in tutta Europa. E anche così si potrebbero creare sempre nuovi tifosi, promuovendo la poesia del Toro. Ma siamo solo noi tifosi ad avere queste aspirazioni».

Cassardo: «Ho un amico che mi ha detto: quando vado da una ragazza e dico che sono del Toro mi sento figo. Lo capisco benissimo. Tornando a quella Coppa Uefa... Se per noi, per esempio, il rigore sbagliato da Belotti contro di noi a Roma resta un momento di godimento assoluto, Amsterdam è ancora un lutto che nessuno di noi è mai riuscito ad elaborare. Tutto si è consumato su quel legno colpito da Sordo».

Willie Peyote: «Siamo tutti figli dello stesso albero genealogico, noi del Toro. Quando ero bambino, a casa mia c’era l’embargo, potevano entrare solo cose del Toro! Mio papà mi ha fatto crescere nel mito del Grande Torino, di Ferrini, del tremendismo, della squadra operaia... Ma oggi è molto più difficile essere alternativi, in un modo tutto in streaming. Il Toro per come lo intendiamo noi tifosi è figo perché è una risposta a qualcosa. Alla stessa maniera, io iniziai a farerap proprio perché non lo faceva nessuno in Italia. E oggi invece è diventato il genere di eccellenza».

Caselli: «Prima dicevate: Cairo ha dimostrato di essere bravissimo come imprenditore in specie nel settore dell’informazione, vista la sua scalata, ma da presidente del Toro sembra un altro e una parte della tifoseria lo critica. Allora mi chiedo come possano coesistere due Cairo diversi nella stessa persona. Voglio dire che forse nel mondo del calcio c’è qualche fattore che lo frena. Fra le tante possibili ipotesi ne azzardo una. In questa città, essere presidente del Toro non è facile. Vi racconto un aneddoto di tanto tempo fa che la dice lunga. Emilio Pugno è stato un grande sindacalista e politico degli Anni 60 e 70 e a quel tempo la base operaia era tutta granata. Gli operai gli volevano molto bene, ma gli rimproveravano la sua spiccata simpatia per la Juve. Un giorno, due operai gli chiesero, polemizzando con affetto, perché li “tradisse”, allo stadio. E lui -si racconta - rispose: già per tutta la settimana devo battagliare col padrone, per cui vorrai mica che faccia il tifo per l’indotto alla domenica? Lasciatemi almeno la domenica, su! Ecco, così rispose. Dopo Superga (con la gloriosa parentesi di Giagnoni e Radice) il Toro è come condannato a essere appunto una specie di indotto. Sia chiaro, è una cosa che ci inorgoglisce, è il fascino di essere Davide contro Golia e di sapere che tutto quel che arriva è frutto di sacrificio e merito, non d’altro. Ma nello stesso tempo non si può non chiedersi se per casonon ci siano anche dei confini oltre i quali non si può andare, altrimenti c’è il rischio di venir travolti. Ed è la storia di alcune presidenze del Toro. Del resto la città aveva avuto tra gli Anni 60 e 80 non solo un Toro grande, ma anche una squadra di volley arrivata al vertice dell’Europa, una squadra di basket in prima fila in Italia, poi i successi del rugby, persino l’hockey che spopolava... Ma da tempo non c’è più nulla a quei livelli eccezionali, così splendidi. La Juve ha... insomma... accentrato tutto: e il resto ha finito per dover andare altrove! Per cui un oculato, attento imprenditore può anche porsi questi pensieri, questi dubbi. Perché da presidente del Torino deve affrontare, per l’appunto, anche il problema di un’egemonia sempre cercata dal mondo che gravita intorno alla Juve. Sia chiaro, è una presenza forte, una realtà che ha fatto anche del bene a Torino. Ma un presidente granata che accetti la sfida di mettersi in concorrenza con questa egemonia può darsi che in qualche misura finisca per tenerne conto, anche per il fatto obiettivo di aver un bilancio da “indotto”. E allora forse sta qui un’ipotesi di risposta alla domanda del perché Cairo, così brillante nell’editoria, non lo sia altrettanto nel calcio».

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