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Susanna Egri, la figlia di Erbstein: papà, il Grande Torino, lo spettacolo

 

In occasione dei suoi 90 anni, domenica festa spettacolo al Gobetti. I ricordi dell'avventura in granata, la tragedia di Superga, il balletto, i suoi ragazzi...

TORINO - In via Vico si respira un'aria frizzante. Calcio, danza, la storia che racconta, che parla, che insegna. «Buongiorno, signora Susanna», «Buongiorno a lei, si accomodi». Inizia così l'incontro con la figlia dell'allenatore del Grande Torino scomparso a Superga. «Susanna Egri e non Erbstein. Perché mio padre, tornato a vivere in Patria, non voleva portare un nome tedesco e adottò l'ungherese Egri. E così risultava. In Italia, però, siccome era conosciuto come Erbstein, nonostante non ci fosse più sui documenti, lui rimase Egri Erbstein». Un mito. E anche l'erede emana carisma. Donna di potere, di comando? «Di potere no, non lo sono mai stata. Di comando sì, perché sono una guida e chi guida deve comandare, condurre il gregge... Proprio come un allenatore di calcio». Il pallone così rotola accanto, nei ricordi, nei ritagli, negli esempi, nella commozione. «Il mio rapporto con il calcio? E' finito con la sciagura di Superga. Fino ad allora, a quel maledetto 4 maggio 1949, ero una tifosa delle squadre di mio padre. Da piccola ero sempre vicina a lui, ovunque sui campi; mi portava agli allenamenti. E mi piaceva, mi entusiasmava. Non sarei mai mancata in particolare a una partita del Torino. Dopo quella giornata tremenda, però, non ho più assistito a un match. Ogni tanto mi invitano, ma io resisto. Non perdono al calcio di avermi tolto mio padre. Lui era il simbolo di ciò che è più importante».

Che storia

Ancora oggi, una figura cui ispirarsi. «Quando qualcuno eccelle... Era una persona speciale, un uomo luminoso. In casa vigeva il bilinguismo. Con mamma Jolanda in ungherese, con papà Ernst in italiano. Mia madre mi aveva dato lezioni ancor prima di andare a scuola. E questo mi favorì, parlo quattro lingue». La cultura del passato è pregnante. «Ciò che ci ha lasciato, la continua ricerca della conoscenza. Papà non era solo un allenatore, era un intellettuale, un umanista. Era contento che potessi studiare. E io l'ho sempre fatto con passione, mai controvoglia; in Italia fino alla terza ginnasio, poi privatamente... Mi ritengo autodidatta. Ho scelto quello che volevo sapere finché sono entrata nell'Accademia a Budapest».

L'avventura

Ungheria, Italia, Ungheria, Italia e il mondo. «Ho vissuto prevalentemente qui, e per alcuni mesi in vari Paesi come Olanda, Portogallo, Francia, Usa. Negli Stati Uniti ci era andato anche papà da calciatore. C'erano offerte per restare, a New York, ma mia madre non voleva andare così lontano. E allora ha scelto l'Italia: Fiume e Vicenza in campo; Andria, Bari, Nocerina, Cagliari, Lucca, Torino come allenatore... In Italia c'erano restrizioni per l'utilizzo dei calciatori stranieri. Invece per gli allenatori c'era libertà. Così optò per la panchina. Ovunque è andato lo ricordano in modo sublime, fantastico. A Nocera Inferiore gli hanno anche dedicato una piazza. In pratica, ha unito l'Italia, da Nord a Sud. A Lucca, poi, gli era riuscito l’incredibile: con una squadra piccola in 3 anni dalla C alla B e alla A. Un eroe, lo portarono in trionfo».

Gran Torino

Il colore granata era dietro l'angolo, nel destino. «Allenatore e direttore tecnico. Sovrintendeva tutti e coordinava. Anche quando c'era Leslie Lievesley». Solo gli eventi lo strapparono al Torino, le persecuzioni, via dall'Italia. «No, niente tristezza e brutti ricordi. Questi sono giorni di festeggiamenti, meglio non aprire quella pagina così scura, traumatica». Meglio passare in un lampo al rientro, alla costruzione di quel gruppo inarrivabile. «Che aveva spirito di corpo, una squadra vera; come da allora non sono più riusciti ad essere. Attori e campioni insieme. Mio padre li rendeva un blocco unico». Tutti dalla stessa parte, con comunione d'intenti. «Il calcio d'oggi invece non mi piace. E non mi piace il pubblico. Una volta era un evento, il Torino: uno spettacolo totale; il risultato sì era fondamentale ma contava la bellezza del gioco, la squadra agiva al di là del gol». Voleva divertire, strappare l'applauso. Ah, adesso... Distanza abissale. Il principio e la fine, tutto in quel buco nero. Superga. «All'inizio ho tenuto i rapporti con la vedova di Loik: la sua bimba è stata la mia prima allieva. Poi col tempo tutto si è diradato». Con papà, invece, resta una liaison unica, senza fine, grazie al regalo postumo. «Facevo collezione di bambole, e papà me ne aveva portata una anche dalla Spagna. La valigia era mia, gliela avevo prestata: l'ho ritrovata con il contenuto indenne tra i rottami dell'aereo. Dentro c'era tutto... E c’era la bambola portoghese. E’ ancora lì sbrindellata da oltre sessant’anni. La lascio così e quando la prendo in mano... La porto con me a ogni spettacolo. E’ una superstar, è andata anche in tv, con Pippo Baudo. Sì, il regalo postumo di papà. Segna il tempo che passa». Allora l’appuntamento è fissato. «Per il centenario»...

Il segreto? I peperoni crudi

TORINO. Il ritorno di Susanna Egri a Torino, nel dopoguerra, è legato anche a un altro evento di costume, di svolta, di sperimentazione. «La nascita della Rai. Sono cresciuta assieme alla televisione. E non solo con le coreografie; abbiamo dato vita a tante novità qui a Torino. Vari format. Oltre ai balletti preparavo programmi culturali per i ragazzi. Ero di casa, alla fine. E quando allestivo uno spettacolo la tv lo riprendeva. Un'interconnessione che precorreva i tempi. E papà a suo tempo, pur non essendoci ancora il mezzo, aveva capito che qualsiasi spettacolo sarebbe stato divulgato per la massa, prima o poi. Che le mie danze erano per tutti, non per la nicchia». 

Danza, lavoro, impegno, forma perfetta. «Il rapporto con il cibo? Sono per poco ma buono. E sono io stessa una buona forchetta. Quel poco che mangio voglio che sia cucinato bene, anche in modo fantasioso. Ho una regolazione naturale. Niente abbuffate, comunque. E questo mi viene da papà che era molto morigerato, non beveva, era completamente astemio. Io un bicchiere di rosso la sera me lo concedo. A mezzogiorno solo frutta per non avere disturbi poi al lavoro pomeridiano. E non ho mai avuto problemi di peso, ho sempre avuto il peso che dovevo avere. Mangio di tutto, zero fobie o restrizioni. Poca carne, ma per mia scelta. Tante verdure. E la mattina con il the, pane, formaggio e peperoni crudi. Sì, peperoni crudi, è un'usanza ungherese. Questo stupisce tutti: i peperoni crudi, mi fanno bene. E' il segreto per essere così efficienti: provate anche voi?». 

La festa al Gobetti

I suoi primi 90 anni. Susanna Egri è passata sotto lo striscione. «Un bel traguardo, sì. E' il mio scudetto. Peccato solo che papà non se li sia goduti, ne aveva solo cinquanta quando tutto è finito. Ha avuto il tempo di essere felice della mia riuscita professionale, però. Prima ballerina all'Opera di Firenze. Lui venne a vedermi, c'era Fiorentina-Torino. Prima della partita assistette al mio spettacolo e un giornalista presente scattò la foto nel camerino. Era fiero di me». Si balla, domenica. Una serata speciale. «Lo spettacolo del Gobetti è un po' la mia festa. Mi ha colto di sorpresa. E' il mio staff che ha tenuto i conti. Io dicevo: novant'anni? Davvero?». E vai con lo stesso spirito. «Finché ho energie per me l'età non ha importanza. La pensione? Beh, sono una pensionata pro forma. La pensione ha una funzione di sicurezza, sai che non avrai problemi a mangiare anche se l'attività non ti è andata bene. Come istituzione è certamente positiva. Ma non deve darti lo spunto per buttarsi in poltrona. Non bisogna mai smettere di fare ciò che ci piace. Della vita non bisogna mai essere soddisfatti. Tutto è perfezionabile. Comunque, seguo la mia filosofia che mi porta a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto». Una vita con i suoi campioni. «Il mio rapporto con i ballerini è molto bello. Mi rispettano e c'è ammirazione nei miei confronti. Poi, io lavoro, salto, sudo con loro. E per questo mi ritengono una di loro. Possiedo un notevole ascendente, temono anche una mia occhiata disapprovante. Se mi arrabbio? No. E' una compagnia di giovani bravi, dediti alla danza. Le audizioni libere, al momento sono tutti italiani, a parte una francese. Si allenano tutti i giorni: fatica, arte, dedizione, spirito di corpo: non c'è nulla di più completo. Il balletto, però, in Italia non ha un grande seguito, non la stessa tradizione che c'è in Ungheria, Russia ecc. La lirica qui ha fagocitato tutto». Appuntamento al teatro Gobetti, domenica 21 febbraio, alle ore 20 per la "Serata Egri" con la compagnia Egribiancodanza e la partecipazione speciale di Luigi Bonino, con Nicoletta Manni prima ballerina del Teatro alla Scala. 

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