SCUOLA DI VITA - Non era solo questione di muri, di mattoni che trasudavano storia. Era questione di vita... granata. «In allenamento, avevi a chi ispirarti. Magari io a Mazzola e il fanciullo della Primavera a me». Una catena che si autoalimentava, producendo calciatori e veri uomini, risultati e soddisfazioni. «Una volta i “vecchietti” instradavano i giovani. Le sciocchezze di Benassi quest’anno? Beh, io una volta mi sono buttato e l’arbitro ha fischiato il fallo. Ferrini mi ha preso da parte: “Ehi, non farlo più, ché la prossima volta non ti dà il rigore. Guarda la tv, quello. E tu sembri uno scenografo».
ALLA ZEMAN - Le gradinate di Zeman? Macché, le gradinate del Filadelfia. «Adesso si allenano in palestra, ma così gonfi i muscoli e non corri certo più veloce. Ai miei tempi ti facevi il mazzo in montagna, con gran salite e per le prime settimane non vedevi la palla. Perché i tedeschi in dieci anni sono diventati fenomeni mentre prima erano quasi nessuno? Sono tornati alla scuola del calcio, mica sono gli stadi che li hanno resi campioni del mondo. E ai giovani da noi si inculca l’idea che conti solo vincere, non migliorare. A noi dicevano: fino ai 17 anni insegniamo, poi tu devi dimostrare di avere imparato. Prima insegnavano la tecnica, a lavorare su di te. Io avevo il destro, ho lavorato per usare il sinistro. E aveva ragione chi mi diceva che era il più potente. Come ho fatto? Contro il muro. Ai miei tempi c’era la “forca”, così imparavi a dare del tu alla palla, a muoverti, a sincronizzare i movimenti, ad allenare i riflessi e stavi attento: rischiavi di colpirti le parti basse...».
I VIVAI - Dopo l’unione, la diaspora. «Adesso, purtroppo, si stanno perdendo i vivai. Anche l’Atalanta sta mollando. Si salva l’Empoli. Manca coraggio. Servono insegnamenti e un luogo comune, da qui non si scappa. Le giovanili del Toro dove si preparano? Beh, ovunque. E non c’è più contatto con la gente, con la storia degli allenamenti a porte chiuse per non mostrare gli schemi agli avversari. I tifosi sono la nostra forza, restano quelli che comprano il biglietto per la partita e per la pay tv. E se non hai il loro apporto con che grinta scendi in campo? Al Fila incontravi quello che ti poneva domande, che ti dava consigli, che si complimentava, che ti rimproverava. E magari gli dedicavi il gol, dopo un errore. Noi eravamo un pugno chiuso, non una mano aperta. E il merito era anche del Fila. Per questo i tifosi si affezionavano, per questo tu tenevi di più alla maglietta che indossavi». Come una seconda pelle.