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Iervolino esclusivo: "Salernitana, sogno un futuro con Ribery allenatore"

Il presidente del club campano: "Non serve passare da 20 a 18 squadre. Il calcio ha bisogno di riforme ma il balletto tra Figc e Lega non aiuta"

«Guardi, sto uscendo adesso dal Viola Park, dove ho dato l’ultimo saluto a Joe Barone. Ero molto legato a lui, c’erano moltissime affinità e in generale con la Fiorentina di Commisso. Joe voleva ammodernare il calcio e tante volte avevamo condiviso i punti cardine su cui basare un’idea nuova di calcio, che ha bisogno di cambiare sotto molti punti di vista». La triste coincidenza con cui inizia l’intervista con Danilo Iervolino, imprenditore e presidente della Salernitana, sembra tuttavia un ricamo del destino per incanalare subito il primo argomento.

Quali sono questi punti cardine?
«Riforma del rapporto contrattuale con i giocatori; la possibilità di inserire una regola che non consenta l’iscrizione ai campionati a chi non può garantire la sostenibilità; una riforma del sistema arbitrale che, non per fare polemica, ma sta scontentando quasi tutti e secondo me dovrebbe rinnovarsi pensando ad esempio di creare un albo professionale ad hoc ; il rapporto con gli agenti che deve essere rivisto con interessi allineati; una maggiore convergenza in Lega per riuscire a creare un sistema, pur nella sana concorrenza».

Parliamo del primo punto, che mi incuriosisce: cosa intende per riforma del rapporto contrattuale con i calciatori?
«Il tipo di rapporto attuale è il vero male del calcio, perché noi trattiamo come “dipendenti” quelli che nella sostanza sono dei professionisti, alla stessa stregua di medici, avvocati, commercialisti, professionisti dai quali ci si può allontanare, se vengono a mancare i risultati o il rapporto di fiducia. Mentre con i calciatori non è così: loro hanno tutte le tutele e per le squadre ci sono solo doveri. È un meccanismo non più sopportabile, il calcio evolve in modo veloce, bisogna adeguarsi».

Come pensa a un nuovo contratto?
«Un contratto di autentica natura professionistica, in cui le società possano avere delle vie d’uscita legate alla condizioni che cambiano rispetto al momento della firma, per esempio una retrocessione o un mancato obiettivo economico. E poi non è più ammissibile che ci voglia l’accettazione del giocatore a un cambio di squadra a parità di condizioni economiche. Noi paghiamo il cartellino che non è altro che la possibilità di cedere un calciatore a un’altra squadra, per rendere effettiva questa possibilità serve l’obbligo di accettare un club da parte del giocatore a parità di offerta economica. E poi delle clausole risolutive espresse: se non fai un tot numero di gol, se non hai il rendimento preventivato deve essere possibile risolvere il contratto con tutele fatte da norme federali. Altrimenti si appesantiscono i bilanci e un club che sbaglia quattro giocatori paga un conto troppo salato con contratti pluriennali da onorare senza un vero perché. Il nostro modello industriale è monco, perché sei nelle mani dei calciatori che, se decidono di non giocare, intanto perdi un patrimonio e poi devi pagarli comunque».

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