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Inchiesta Prisma, quel ragionevole dubbio sulla fretta dei pm torinesi

La Corte di Cassazione ha posto un punto fermo in materia di competenza territoriale, vale a dire su quali magistrati siano e fossero legittimati ad indagare e giudicare nel cosiddetto “processo Prisma”. Si possono però segnalare alcune situazioni che, senza dubbio, appaiono quantomeno singolari

Dopo alterne vicende procedurali e una dura battaglia che ha visto protagonisti la pubblica accusa e i difensori, finalmente la Corte di Cassazione ha posto un punto fermo in materia di competenza territoriale, vale a dire su quali magistrati siano e fossero legittimati ad indagare e giudicare nel cosiddetto “processo Prisma” che vede coinvolta la Juventus e molti dei suoi ex dirigenti.

È certo difficile per il lettore comprendere meccanismi processuali già di per se stessi assai complicati anche per gli esperti del diritto. Si possono però segnalare alcune situazioni che, senza dubbio, appaiono quantomeno singolari. La difesa della Juve ha, sin dalla fase delle indagini preliminari, contestato la competenza territoriale ad agire della Procura di Torino e, pertanto, lo stesso suo potere d’indagine, indicando come competente la Procura di Milano o in subordine quella di Roma. Non era e non è questione di lana caprina, posto che ogni ufficio della Pubblica Accusa ha un proprio modo di procedere, diverse “sensibilità” (la tardiva astensione, per esternazioni a dir poco inopportune, di uno dei PM titolari dell’inchiesta ne è stata la evidente dimostrazione), nonché propri orientamenti giuridici.

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