TORINO - Non serve scavare a fondo, rimestare, quando molto più semplicemente si può trovare tutto in superficie. Basta osservare una faccia, le rughe d’espressione, gli occhi, le smorfie, per comprendere cosa passi nella testa. È il caso di Juan Cabal. A gennaio, con l’inizio della finestra di mercato invernale, era ricominciato il solito viavai davanti al J Medical: l’attesa per i nuovi colpi, l’iter che comprende visite mediche e poi firme in sede. In attesa di tutto ciò, quella del difensore colombiano era una presenza fissa, mentre si trovava impegnato nelle prime fasi della riabilitazione. Il viso una maschera di delusione, carica di dolore e fatica. Senza che questo gli impedisse di aprirsi in un sorriso, quando i tifosi chiedevano un autografo o una foto insieme. Non serve essere retroscenisti per immaginare cosa abbia passato, serve giusto un pizzico di empatia per percepire nell’aria quelle vibrazioni e avere immediatamente un moto di solidarietà nei suoi confronti.
La stagione di Cabal
Ma facciamo un passo indietro, per poi farne almeno due in avanti. A inizio novembre 2024 si apre la finestra nazionali: Cabal viene convocato dalla Colombia per le sfide contro Uruguay ed Ecuador. Sale sull’aereo per un volo transoceanico, pieno di entusiasmo e voglia di confermare le ottime impressioni mostrate nei primi mesi di Juventus. Per lui, fin lì, 9 presenze, 1 assist, 618 minuti complessivi in campo: grande fiducia di Thiago Motta, mentre in rialzo erano anche le sue quotazioni nell’ambiente del tifo bianconero. Sceso dall’aereo, quasi immediato l’ingresso in campo con i Cafeteros. Quasi immediato anche lo stop, le prime impressioni negative e qualche notizia che comincia a filtrare e arrivare fino in Italia. Il responso definitivo arriva il 14 novembre, dopo le visite strumentali: “lesione del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro”. Una decina di giorni più tardi l’operazione e il messaggio social, con tanto di foto in stampelle. Sette mesi più tardi, il peggio è alle spalle, ma la strada da percorrere ancora lunga.