"Pensavo che la pubalgia fosse un segno del destino"
"Quando ho capito di non poter diventare calciatore? Dopo due mesi in ritiro mi è venuta la pubalgia, che all'inizio lo consideravo come un segno di predestinazione, perché l'aveva avuta anche Platini. Lui con la pubalgia aveva fatto 4 gol nel girone d'andata, poi quando è guarito ne ha fatti 14 nel girone di ritorno. Fa perdere una frazione di tempo che ti fa passare da fenomeno a pippa. Quando il messaggiatore doveva curarmi mi diceva di spostare il presepe. Poi in ritiro ho preso anche la schisi. E' stato un incubo, ho giocato poco e stavo sempre male. Come sono diventato attore? L'ho imparato in campo perché ti insegna chiarissimo qual è il tuo obiettivo, chi sono i tuoi compagni, poi lo spettacolo diviso in tempi come a teatro e le prove come gli allenamenti. La collettività conta in entrambi i casi. Io giocavo anche a tennis ed ero bravo, avevo più il fisico da tennista. Non potevo però fare una cosa completamento da solo, non lo reggevo. Anche sul set tutti sono importanti e il lavoro di tutti va rispettato tempo. Il mio epitaffio l'ho sognato tempo fa e ci sarà scritto 'Non tirò mai in porta con un compagno piazzato meglio di lui'. Io esultavo nello stesso modo per un mio gol e quello degli altri, quell'orgia pogante era la cosa più bella della mia vita. La mia era una leadership tecnica, non parlavo. Ho deciso di fare il calciatore quando ho visto Tardelli esultare un pochino al gol contro la Germania nell'82. Avevo dieci anni e ho detto 'Voglio fare quello'. Il calcio per me era centrale, mi permetteva di essere di sopravvivere".