Basta una parola, una fotografia, o persino un semplice suono per tornare indietro di 40 anni, a quella triste serata del 29 maggio 1985, in cui 39 tifosi persero la vita pochi istanti prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Sono le 19:20: Massimo Bonini si trova negli spogliatoi dell’Heysel insieme ai compagni bianconeri. A regnare è il silenzio: tutti, e proprio tutti, quella partita la stanno già giocando. Nelle loro teste. Non sanno che dall’altra parte dello stadio, un gruppo di Hooligans del Liverpool ha appena innescato una reazione a catena infernale, invadendo il settore Z... «Prima del fischio d’inizio non sapevamo praticamente nulla - racconta Massimo Bonini -. Nessuno capiva cosa stesse succedendo. Ci dissero che la partita sarebbe stata posticipata per via di alcuni scontri tra le tifoserie. Ad un certo punto, sono iniziati ad arrivare negli spogliatoi diversi tifosi della Juve: alcuni erano feriti, altri erano semplicemente spaesati, senza scarpe… C’era chi parlava di un morto, chi di 100. Un caos totale».
Se non le chiedo troppo, proviamo a tornare a quegli istanti a margine della finale...
«Noi, ignari di quanto stesse accadendo, eravamo concentrati sulla partita. Volevamo solo giocarla per rifarci dopo la sconfitta di Atene. Pensiero condiviso anche da Trapattoni e Boniperti: neanche loro riuscivano a inquadrare la situazione. Del resto, per la Juventus era un momento troppo importante. Quando abbiamo vinto, siamo usciti dallo stadio con la coppa, ma una volta in albergo abbiamo preso coscienza della tragedia vedendo le immagini in tv. E lì l’esito della partita e i festeggiamenti, inevitabilmente, sono passati in secondo piano. Non contava più nulla. I nostri pensieri erano tutti per le vittime… Per quelle famiglie che non sarebbero mai più potute tornare a casa».
Una volta in campo, avvertì qualcosa di diverso tra gli spalti ?
«Ripeto, sembrava tutto in regola. Eravamo in trans agonistica, concentrati sulla finale. Non ci siamo accorti di nulla. Lo stadio era rumoroso come sempre: i nostri tifosi ci hanno spinto dall’inizio alla fine».
E a freddo, nei giorni successivi, cos’ha provato?
«Siamo partiti subito per l’Australia: eravamo dall’altra parte del mondo, e ci sentivamo impotenti, increduli, amareggiati. Consci di non poter fare nulla per cambiare quanto accaduto. È stato tremendo».