“La storia è il marketing di chi ha storia”, una vecchia regola che non dovrebbe mai passare di moda e che di conseguenza dovrebbe guidare le logiche di coloro che si confrontano con la commercializzazione di marchi che si portano appresso una tradizione ultracentenaria. E che, contemporaneamente, devono pure fare i conti con le esigenze innescate dalla modernità e dalla globalizzazione. Poi, pur considerando quest’ultima necessità, a nessuno verrebbe in mente di immaginare il Real Madrid senza la maglia bianca, o il Liverpool senza quella rossa e via dicendo.
La ragione che spinge al cambiamento e il valore della tradizione
Ma neppure la Juventus senza le strisce a righe verticali bianconere (a palatura fitta come negli iconici Anni 70) che hanno segnato la storia del calcio italiano, europeo e mondiale. Ma i tempi cambiano e il marketing si adegua: così come Andrea Agnelli cambiò il logo della Juventus per renderlo più globale (effetto raggiunto, salvo poi verificare che la maglia più gradita e venduta è stata quella con la zebra rampante che storicamente campeggiava sotto l’araldica che certificava il legame con Torino. Il legame, attenzione: lo sguardo nel mondo, ma le radici in un posto ben connotato e riconoscibile) così il disegno delle strisce sulle maglie si modifica a seconda dei tempi. E ora, quando l’obiettivo grosso del marketing è direzionato verso gli Usa e i paesi dell’Asia dove le righe bianconere simmetriche rimandano alle casacche degli arbitri, è necessaria un lavoro di differenziazione che si sforzi di stare a mezzo tra la tradizione e la novità.