TORINO - L’allenatore, si sa, è un uomo solo, specialmente nella sconfitta: nel calcio, quando tutto va male, è il primo a pagare. Nella Juve succede di rado, ma in questa stagione c’è già stato un passaggio di testimone: il 23 marzo il club ha salutato Thiago Motta e ha accolto Igor Tudor, chiarendo dal principio quale sarebbero stati durata dell’impegno e obiettivi, in una stagione molto lunga da concludere con in tasca la qualificazione alla Champions e il percorso più lungo e qualitativo possibile nel Mondiale per Club americano.
Tudor, missione impossibile?
Prima di scegliere Tudor, il turbinio sul toto allenatore aveva rilanciato tanti nomi, tra i quali spiccava quello di Roberto Mancini, ma anche quelli di chi avrebbe potuto o dovuto riaprire un ciclo in estate: da Gasperini a Pioli passando per Conte. Ora la giostra riapre, nonostante il campionato sia ancora in corso, per di più nel momento dei verdetti che coinvolgono proprio i diretti interessati. Tudor aveva già dal principio la consapevolezza di avere una missione da portare a termine, prima di poter guardare un po’ più in là: la definizione di “traghettatore” non gli piace ed è difficile dargli torto, ma i discorsi sulla conferma potrebbero non essere determinati solo dal raggiungimento o meno dell’obiettivo Champions.