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Lo slogan di Boniperti e la nuova Juve di Motta: c’è un solo obiettivo

“Vincere è l’unica cosa che conta”, una frase pronunciata per la prima volta da Red Sanders, coach di football americano. Com’è arrivata nella Torino di fine anni ’80?

Il motto di riserva

Eppure quel motto dice poco della juventinità storica, dello spirito che ha accompagnato il club, anzi lo riduce al mero conteggio dei trofei. Come se la ultracentenaria storia della squadra fosse relegata nella sala coppe del J-Museum e non nel resto delle sale, che invece ne raccontano mille di storie, intrecciate con una filosofia più ampia. In quel buco, d'altronde, c'era cascato pure Red Sanders, che per primo s'era infilato nell'imbuto della sua frase. E aveva scritto molte righe e rilasciato molte interviste per spiegare che no, lui non intendeva ridurre tutto alla vittoria, ma spingere a dare sempre il massimo, e anche di più, per raggiungerla e che, se si era combattuto con tutte le proprie forze, senza risparmiarsi, la sconfitta era un fatto doloroso ma accettabile. Il che riporta al motto olimpico che noi oggi citiamo in una versione leggermente modificata rispetto all'originale, perché all'inizio De Coubertin (peraltro anche lui rubando il concetto a un altro, il reverendo americano Ethelbert Talbot (ospite a Londra per la prima edizione dei Giochi Moderni) non aveva proprio detto «L'importante non è vincere, ma partecipare», ma «L'importante è combattere, non vincere», sottolineando come il fine ultimo dell'agonismo sportivo sia la pugna non l'esito finale. I tifosi direbbero «sudare la maglia», Gattuso direbbe «mangiare l'erba», Andrea Agnelli direbbe «fino alla fine», motto di riserva della Juventus che, forse, dovrebbe diventare titolare. Perché la storia del club è fatta di cadute e resurrezioni e proprio l'infinita capacità di rialzarsi e tornare in alto è fondamento intorno a cui i tifosi aggrappano la propria fede.

Vialli: "Vincere nella Juve è un sollievo"

La Juventus di Marcello Lippi, quella che rimonta dal 2-0 contro la Fiorentina e così inizia il ciclo che la porterà in cima al mondo e quella che il 5 maggio 2001 completa la più travolgente rimonta del calcio moderno, sono l’esempio più recente dello spirito a cui la gente della Juventus è legata e per il quale si esalta. Anche perché, nel racchiudere l’essenza di tutto nella vittoria si svuota la vittoria stessa di quella goduria che dovrebbe portare. Gianluca Vialli diceva che vincere alla Juventus «non è una gioia ma un sollievo». E questo, forse, rischia di sminuire il significato dell’arrivare primi, che nello sport non è mai e non deve essere mai scontato (poi, certo, la lunghezza dei festeggiamenti è inversamente proporzionale alla possibilità di rivincere l’anno dopo, ma è un altro discorso). Oggi, all’inizio di quello che vu ole essere un nuovo ciclo, la Juventus non può schivare la responsabilità di vincere, ma può anteporre a tutto il dovere di dare tutto, sempre. Fino alla fine.

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