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"Giuntoli, la Juve e la normalità: aerei in segreto per scoprire talenti"

Intervista ad Andrea D'Amico, uno degli agenti più noti del panorama internazionale, che ci racconta aneddoti, punti di vista, riflessioni sul mondo del calcio

E il mestiere di procuratore anche. In cosa, soprattutto?

«Sono cambiate le comunicazioni che hanno accelerato tutto. Una volta rappresentavi il tuo calciatore, nella tua valigetta avevi l’elenco, incontravi i ds o presidenti con le videocassette, poi i dvd. Gli stranieri venivano in Italia solo perché avevano giocato bene contro una italana. Chessò, Liam Brady: si metteva in mostra nell’Arsenal, contro i bianconeri, veniva attenzionato e fatto seguire, poi si trasferiva. Ora la dinamica è molto, ma molto più veloce. Algoritmi, filmati, WhatsApp. Puoi chiudere operazioni anche senza vedere la controparte, neanche una volta. Vi faccio degli esempi».

Prego.

«Neanche tanti anni fa. Stavo guardando Milan-Tottenham di Coppa dei Campioni, a San Siro. Quando Gattuso prese per la gola Joe Jordan... Nell’intervallo ricevo una telefonata dall’oligarca russo Suleiman Kerimov, presidente allora di Nafta Moskya, e patron del club Anzhi: “So che sei l’agente di Gattuso, puoi venire a Mosca venerdì prossimo? Ti mando il mio aereo privato”. E dunque di lì a poco, in libera uscita, ci ritroviamo io e Rino su questo aereo fatto come l’Air Force One, poi parliamo con Kerimov che ci offre il doppio di quello che prendeva al Milan. Non se ne fece nulla perché Galliani preferì tenere Rino. Ma è per dire: una volta funzionava così. Prendi, parti, vai. Ora vi faccio un esempio opposto, più recente».

Ri-prego.

«Io mi trovavo a Toronto, avevo fatto Giovinco. Bocchetti era allo Spartak Mosca e aveva problemi con il nuovo allenatore. Si fa male Mexes, al Milan. Allora telefono a Galliani, a Milano. Chiamo Bocchetti, che era in ritiro in Spagna, e gli dico di andare a Milano. Insomma, una operazione fatta senza neanche un caffè insieme. Ognuno stava in una Nazione, o addirittura continente, diverso dall’altro. Questi sono i due estremi che credo facciano capire come è cambiato il nostro modo di lavorare in questi anni».

C’è chi dice: i procuratori hanno rovinato il calcio, sono un problema...

«Sono affermazioni demagociche. L’intermediazione c’è in ogni campo: finanziario, immobiliare, assicurativo… Dove c’è commercio c’è una filiera fatta di tanti passaggi. Così è nel calcio: ci sono tante figure, tra cui noi. Il problema del calcio, soprattutto per l’Italia, è strutturale. Ogni volta che si addita qualcuno come responsabile, si addita il piccolo neo piuttosto che la malattia che c’è sotto. C’entrano i procuratori con gli stadi inadeguati? Con i continui fallimenti delle società? Con il fatto che il campionato italiano è invaso da stranieri e la Nazionale non ha giocatori e non si è qualificata per due mondiali di fila? Finché non ci sarà consapevolezza del fatto che è ora di fare una riflessione, gli stati generali del calcio, non se ne può venire a capo. Ed è un peccato, perché il valore sportivo per una città o una Nazione equivale a crescita, promozione, valorizzazione. Lo sa benissimo l’Arabia Saudita che sta usando lo sport e lo spettacolo per far vedere al mondo che il Paese sta cambiando».

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