SIVIGLIA - Sette minuti. La Juventus è stata qualificata per la finale di Europa League per soli sette minuti, l’intervallo tra il vantaggio di Vlahovic e il pareggio di Suso che ha sbriciolato le certezze del gruppo bianconero. Di nuovo. Sì: di nuovo perché questa dinamica è davvero la sintesi di una stagione, il compendio di fragilità individuali che si sommano e che contribuiscono così a creare una debolezza, anziché una forza. Il paradigma di queste ultime stagioni bianconere (non solo di questa, ma almeno delle ultime tre) durante le quali la somma (di talenti, di potenzialità, di danari profusi) non ha mai prodotto il totale che sarebbe stato legittimo attendersi da queste eccellenze o presunte tali. In definitiva, per quanto possa apparire banalmente brutale, il problema sta tutto lì: nell’adeguatezza dei protagonisti a recitare il ruolo da protagonista che ti richiede la militanza nella Juventus.
All'altezza della Juve?
Un percorso che appunto non ammette distrazioni, errori, cali di tensione perché sei sempre sul filo del rasoio della condanna e perché nessuno, contro di te, concede sconti: rappresenti il trofeo più ambito e non puoi concederti cali, a meno che tu sia un fenomeno. Ma qualcuno, in questa Juve, lo è? Così, sarebbe troppo semplice e sbrigativo, oltre che colpevolmente assolutorio, accreditare tutte le colpe a Massimiliano Allegri che, certo, di suo ha responsabilità a cominciare dal gravemente deficitario approccio fisico alla stagione che è costato l’epocale figuraccia nel girone di Champions.