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Massimo Mauro, la Juventus, il DNA che manca e la via per ripartire

Intervista all’ex giocatore bianconero e opinionista televisivo: “Se oggi fossi un loro calciatore non mi preoccuperei della classifica, sarei più motivato a dare il top”

TORINO - Massimo Mauro, da ex giocatore della Juventus, poi dirigente e ora opinionista tv, quanto è complicato scendere in campo senza sapere che fine faranno quei punti? O meglio, senza sapere quale sarà poi la classifica a fine stagione.

«Se io fossi nei panni dei giocatori della Juventus, non avrei questo tipo di difficoltà mentale. I problemi sono seri, per carità, ma non sono della squadra. Anzi, il gruppo ha l’opportunità di ricompattarsi ancora di più, è un motivo per essere giustamente incazzati e tirare fuori finalmente una prestazione al cento per cento, tirare fuori grinta e determinazione, che sono marchi di fabbrica storici della Juventus. E che è ciò che è mancato in questo gruppo. Certi valori fanno parte del dna di questo club».

Si tratta anche di senso di appartenenza? C’è meno juventinità in questa Juventus?

«Rispetto al passato credo sia anche diminuito il livello tecnico. E poi certo sono mancati grinta e determinazione: le questioni extracalcistiche possono essere la scusa buona per ritrovare questo spirito. Che poi con l’Atalanta è stata fatta una partita intensa, però poi il passo falso con il Monza lo abbiamo visto tutti. Da questo punto di vista bisogna bisogna crescere: nessuno chiede alla squadra 4 gol a partita, ma almeno di lottare quando perde. Sul concetto di juventinità c’è da dire che sono state fatte delle scelte in questi anni. Nove scudetti di fila forse hanno ubriacato qualcuno e magari fatto credere che i giocatori fossero meno importanti. Ma poi sono loro ad andare in campo e avere un certo senso di appartenenza è importante. Servono gli elementi giusti e adesso vedere la Juventus con pochi italiani è strano. Ci sono i giovani, certo, ma se nello spogliatoio la lingua più parlata diventa lo spagnolo o il portoghese, allora è tutto più difficile. Non dico di chiudere le frontiere, per carità, però per anni la Juventus ha rappresentato l’ossatura della Nazionale e deve tornare a essere così: ripeto, il senso di appartenenza serve, l’attaccamento alla maglia non è solo una frase fatta».

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