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Juventus, Lemina e la lite con Allegri. E sulla finale di Cardiff…

Il centrocampista racconta alcuni retroscena della sua esperienza in bianconero: ecco le sue parole

Alla Juventus dal 2015 al 2017, Mario Lemina a Torino non è riuscito a esprimete tutto il proprio potenziale. Complice anche una spietata concorrenza in mezzo al campo, il franco-gabonese ha chiuso la sua esperienza bianconera con 42 presenze e tre reti. Parlando ai microfoni del canale YouTube Colinterview, ha riavvolto il nastro ed è tornato sul periodo alla Vecchia Signora: “Sono andato alla Juve con quelli che sono i miei obiettivi. Dimostrare nel lavoro quotidiano di poter far parte di quel gruppo, dare tutto e farmi rispettare per questo. Nelle prime 10 partite ero l’uomo più felice del mondo. Mentalmente era pronto e questo ha reso le cose più facili. Gli allenamenti erano intensivi, lunghi, molto fisici, a fine giornata ero morto il primo mese. Ma era benefico, sapevo di dover lavorare tutti i giorni perché lì ci sono dei giocatori di fama incredibile. C’era Paul (Pogba ndr), Marchisio, Khedira. A quel punto non hai niente da perdere. Devi dimostrare tutti i giorni a quei giocatori che puoi arrivare a quei livelli, hai solo da vincere”.

Lemina, la titolarità e poi il ritorno di Marchisio

“Sfortunatamente in quel periodo Marchisio si infortunò e quindi ho potuto giocare rapidamente - racconta Lemina -, il mister mi ha dato fiducia e allo stesso tempo ero la sua seconda scelta, non c’erano altri a centrocampo. Gioco sei partite e per cinque volte sono il migliore in campo. Dunque, per me tutto andava bene. Poi c’è stato il ritorno di Marchisio. Lui è il Principino di Torino, quindi doveva giocare! Non avevo problemi su questo, lo accetto. Lui ritorna, all’inizio è difficile ma doveva giocare per ritrovare la forma e quindi io mordo il freno in panchina. Ma quando sei il migliore in 5 partite su 6, diventa più difficile mordere il freno. Ti inizi a fare domande, perché? E da lì è diventato più difficile per me accettarlo, perché sapevo il mio livello, sapevo di poter giocare. Ero in panchina perché ci sono degli status da rispettare. In quel momento diventa difficile, ti chiedi perché stai in panchina quando hai dimostrato di poter stare in campo”.

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