Questa è la storia di un fiume. Di un grande fiume. Magari non sarebbe necessario raccontarla. Nessuno, infatti, la ignora o, perlomeno, tutti ne conoscono a sufficienza i tratti fondamentali. Perché la storia di questo fiume è anche quella che riguarda direttamente almeno un paio di generazioni, appena sfiorate oppure travolte dallo scorrere dell’acqua. Non è manco una storia esclusivamente italiana, anche se il suo cuore è stato alimentato da profonde radici molto provinciali. Il fiume, unico nel suo genere, è partito da un punto ben definito eppoi ha traversato il mondo permettendo a una folla incredibile di passeggeri di gustarne il sapore: conoscenza, ammirazione, timore, invidia, schegge di amore. È una storia, quella del grande fiume, dai tanti copioni scritti per la mano di un unico autore e poi riconducibili in un solo film. La testa di quel fiume s’è gettata nel Grande Blu ed è andata a comporre il Tutto con il suo Piccolo contributo di ex viaggiatore da posto fisso in prima classe su di un treno dove i più fortunati stanno in piedi e sul quale la maggioranza non riesce a salire. Un treno che, spesso, procede al contrario. Infine, probabilmente, neppure lui avrebbe poi tanto piacere che la storia venisse raccontata: troppo acuto per non essere anche assolutamente diffidente e non dover scorgere, tra le pieghe della celebrazione ufficiale, uno stucchevole atto di maniera umanamente fasullo come un frammento di bottiglia spacciato per smeraldo. Gli basterebbe, per apprezzare degnamente il momento del congedo, una semplice parola. Avvocato. Con l’iniziale maiuscola, beninteso. Gli piaceva: «Non sono senatore, la prego non mi chiami così. Senatore è il mio nonno. Il mio nome d’arte è Avvocato». Buffo e tenero insieme, ma andava capito: in fin dei conti, l’avvocatura fu l’unica attività che mai realmente frequentò nel corso di tutta la sua globalizzante e impetuosa esistenza. E forse gli mancava. A lui che aveva avuto tutto e anche di più. Lui, il grande fiume. Gianni Agnelli. L’Avvocato.