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Esclusiva con Rafaela Pimenta: “Pogba è uscito dall’incubo. Trascinerà la Juve”

Dal centrocampista francese ad Haaland, la grande agente si racconta: “Io e Mino, affari e tante risate. Perché Paul non si è operato al ginocchio? Credeva di tornare prima con la terapia conservativa"

Un lavoraccio.

«Ma è indispensabile. Un altro difetto dei social media è che i giocatori spesso fanno la ricerca con il loro nome, anche dieci volte al giorno. Questo sapete cosa provoca? Che l’algoritmo inizia a fornire solo contenuti su quell’argomento e improvvisamente i giocatori si convincono di essere al centro del mondo e invece sono solo al centro della bolla che loro stessi hanno creato. Un disastro! In compenso c’è una lato positivo: i social media danno voce ai giocatori che possono esprimere la loro posizione, soprattutto quando sono coinvolti in controversie. Se la sai usare con calma e intelligenza è utile. E poi con messaggi ispirazionali possono aiutare la vita di molte persone per le quali la loro voce ha un peso molto importante. Puoi far passare messaggi di valore sociale».

Insomma, il procuratore non è solo quello che intasca la percentuale milionaria...

(ride) «Lo so che molti pensano sempre ai soldi, all’avidità del nostro mondo. Ma io credo che la demonizzazione del nostro mestiere sia sbagliata. I procuratori non sono il male del calcio come qualcuno vuole sostenere. Ci sono sicuramente degli agenti poco professionali, non lo nego, ma un buon agente è un valore aggiunto perché porta nell’ecosistema calcio qualcosa che non può essere garantito dalla Fifa, dall’Uefa, dai club. Siamo parte di quel sistema e siamo una parte utile, soprattutto per la tutela dei calciatori, altrimenti esposti a qualsiasi cosa, noi tuteliamo i protagonisti dello spettacolo».

Molti ragazzi vogliono fare i procuratori. Cosa serve?

«Ci vuole passione e cuore, molti ragazzi provano a fare il procuratore perché pensano ai soldi, dicono: “prima o poi faremo dieci milioni”, ma è sbagliato, perché non sempre è così e soprattutto non è così quando manca il cuore e la passione. Devi entrare in questo mondo con l’idea che potresti fare zero euro e fare tutto perché ti piace e perché hai passione».

Parliamo di studi: cosa consiglia a un aspirante procuratore sportivo?

«Tutto quello che si può imparare è utile: economia e finanza, giurisprudenza, ma servono anche conoscenze di scienze motorie e nutrizione. Fondamentale la conoscenza delle lingue: più ne conosci e più puoi espandere il tuo business. Queste sono le competenze di base che si devono acquisire. Se vuoi essere famoso, comunque, vai a fare il rapper. Il procuratore non deve avere ego, perché deve lavorare per gli altri, non per se stesso. Il procuratore di successo è un mezzo che trasporta il giocatore verso il suo obiettivo: avere successo. Devi pensare a tutto per lui, cosa è meglio per lui, anticipare le sue esigenze... devi vivere per gli altri».

Ma lei è appassionata di calcio??

«Sì, ho sempre praticato sport, dal nuoto alla corsa, ma soprattutto mi ha sempre appassionato andare a vedere le partite. Io avrei dovuto essere uno scout, anche se non capisco tanto come uno scout, ma amo da morire andare a vedere le partite. Mino meno, perché allo stadio lo infastidivano, gli parlavano tutti. Io lo pregavo: andiamo in Russia? Andiamo a vedere Paul che gioca la finale dell’Europeo? E lui mi accontentava. Una volta sono atterrata in Brasile da un viaggio e c’era una finale del campionati Under 13 Corinthians-San Paolo. Potevo perdermela? Ovviamente no! E mi sono divertita anche lì. Lo stadio è magico: due ore in cui il telefono non prende, ti concentri sul campo, non pensi a niente. È la parte più bella del nostro lavoro».

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