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Intervista esclusiva ad Alessandro Boniperti: "Nel calcio anche per papà"

"Guardavamo spesso le partite insieme, era tremendo con le sue battute. Il calcio femminile avrebbe esaltato mio padre per entusiasmo  e spirito".

Nell’ufficio di Giampiero Boniperti balenano ricordi da ogni angolo. Ma foto, pagine di giornale, maglie, libri  e oggetti sparpagliati per il  corridoio e le stanze non creano un lugubre effetto museale, c’è vita che scorre, ci sono  racconti che escono con la  sua voce. Il primo contratto è  un gioiello incorniciato e che  riporta il timbro «copia per  il giuocatore» e la cifra, «sessantamila lire», che era andata al Momo, la sua prima  squadra. Suo figlio Alessandro indica la teca che conserva la maglia azzurra del “resto del mondo” con la quale  giocò a Wembley contro l’Inghilterra nel 1953: «Era orgogliosissimo di essere stato selezionato nella formazione  dei migliori del mondo, che  gli inglesi snobisticamente  indicavano semplicemente  come “The Rest”, segnò due  gol, ma finì 4-4 per errori arbitrali. Guarda il calzettone,  ha un bello sbrego: ricordo di un calcione di un inglese».  Alessandro sta per far tornare  il nome di Boniperti nel calcio: oggi, a Luisville inizia un  torneo internazionale di calcio femminile, la Women’s  Cup, di cui è organizzatore.

Lei respira calcio da quando è nato, ha anche  giocato nella Primavera  della Juventus, poi nella  vita ha preso altre strade,  da imprenditore. Oggi  torna nel calcio e lo fa da  organizzatore di un torneo  internazionale di calcio  femminile, perché questa  scelta?

«Il calcio ha sempre fatto parte della mia vita. Quello femminile in questo momento  mi ha attirato per due ragioni: per me è il futuro e inoltre  ha una purezza, un entusiasmo, uno spirito che mi ricorda quello di cui mi ha sempre parlato mio padre. E’ un  calcio dal sapore pionieristico e questo mi ispira».

Cosa direbbe suo padre del calcio femminile?

«Ah, ne sarebbe entusiasta.  Non confondete i valori antichi che lo hanno sempre  contraddistinto con la visione del mondo, che era sempre avanti, sempre moderna.  L’idea della Juventus Women  gli sarebbe piaciuta da matti.  E avrebbe apprezzato quello spirito di cui parlavo prima».

Perché sostiene che il calcio femminile è il futuro?

«Il calcio femminile è divertentissimo. Per il suo essere così istintivo e tattico allo  stesso tempo. I rapporti fra le  giocatrici sono più sani, amichevoli, non ci sono superstar indottrinate da procuratori. In campo regna maggiore fairplay. E alla fine ci si abbraccia e si rende merito  al vincitore. È quindi questo  messaggio di sportività sincera che buca il televisore ed entra nei cuori, infatti Alex Morgan negli Usa vende più  magliette di Neymar». 

Passione e un po’ di business,  insomma.

«Beh, non è una vergogna,  anche perché il movimento femminile ha bisogno di  crescere economicamente,  La disparità con gli uomini  è ingiusta, ma non può essere eliminata per legge, ma  serve che ovunque le donne possano essere professioniste a tutto tondo, sponsor  compresi».

Il calcio femminile anche  uno strumento potente per cambiare la cultura.

« Mi  permetto  di  fare  un  omaggio al “mio vecchio”,  come dicono in Argentina.  Mio padre, da parlamentare  europeo negli Anni 90, si era  battuto per inserire la parola “sport” nella costituzione  europea come motore per  la crescita dell’individuo e lo  ottenne. Lo sport è un elemento fondamentale della società. Mio padre diceva  sempre: butta una palla in un  parco e qualcuno la inseguirà  per calciarla. Anche qualche  ragazza, aggiungo io».

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