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Peruzzi: «Impresa Juve, si può!»

Intervista esclusiva all'ex portiere che racconta una carriera straordinaria iniziata a 17 anni. Con le sue parate ha regalato l'ultima Champions ai bianconeri: «Contro l'Atletico basta un episodio. La qualificazione è ancora possibile al 50 per cento. In bianconero ho imparato cosa sia il professionismo»

Sei stato invece un grandissimo calciatore. Dopo gli esordi alla Roma, ti sei ritrovato giovanissimo alla Juve.
«Dove ho imparato cos’è il professionismo. E come ci si prepara per vincere. Alla Juve, abituata ad arrivare sempre prima, anche un secondo posto viene vissuto come un fallimento. Se arrivi secondo, la società si fa sentire e tutto questo ti aiuta a dare sempre il massimo, a essere sempre pronto, sempre preparato. E poi c’è il peso, la responsabilità, di indossare una maglia molto pesante».

[...]

Il primo ricordo della Juve?
«Boniperti che mi aspetta sulla porta. E mi dice: ragazzo, due cose. Tagliati i capelli e sposati».

E tu ti sei tagliato i capelli e sei corso a sposarti?
«I capelli erano già corti e ho dovuto dare soltanto una spuntatina. Poco dopo mi sono sposato. Ma comunque alla Juve avverti, come ti dicevo, anche indirettamente il senso di responsabilità. Infilarsi la maglia di Zoff, di Tacconi, di Sentimenti IV, credimi, basta per capire cosa stai facendo».

Sei stato protagonista, grande protagonista, l’ultima volta che la Juve ha vinto la Champions. Eri il portiere di quella squadra e in finale hai parato anche due rigori. Il primo flash?
«Solo la grande concentrazione. Io non riesco a esternare la mia gioia. Perché si ride e si piange tutti alla stessa maniera, ma io fatico a tirarlo fuori. Mia moglie mi dice e mi ripete spesso che sono un po’ orso».

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