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Bologna, Saputo studia da Agnelli

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Il patron del Bologna è alleato con il presidente Juve per rafforzare la Lega e cambiare il calcio

TORINO - I suoi alleati in sede di Lega Calcio, Andrea Agnelli se li è scelti fuori porta. Con precisione, a Boston e Montreal, dove fanno base James Pallotta e Joey Saputo, i patron nordamericani di Roma e Bologna. Eppure i fusi orari di differenza e le ore di volo di distanza sono azzerate dalle analogie nella visione di parecchi aspetti. Lo sguardo al futuro attraverso un modo differente di fare calcio - con un approccio per il quale i ricavi devono diventare indipendenti dai risultati sportivi - rende il rapporto Agnelli-Pallotta-Saputo come il simbolo di una spinta innovativa per la serie A.

TAVECCHIO - Un pensiero comune espresso già nell'estate 2014, quando Juventus e Roma non supportarono la candidatura di Carlo Tavecchio alla presidenza Figc. «Servono uomini e regole nuove, personaggi distanti dalle logiche che sin qui non hanno prodotto risultati» disse Pallotta. E l'esito dell'elezione creò un paradosso: Juve e Roma, le uniche società italiane in Champions League, lo scorso anno come oggi, si ritrovarono unite ma in minoranza.

SPORT AMERICANO - A questa corrente - teoricamente improbabile vista la lunga letteratura di polemiche tra bianconeri e giallorossi generate dalla rivalità in campo - si è aggiunto Saputo, entrato nel Bologna poco meno di un anno fa. Un ingresso supportato da risorse importanti per un progetto a lunga scadenza, più vicino forse allo sport americano (Nba, Nfl, Mls) che al calcio italiano. Una strada condivisa da Agnelli, come dicono le sue parole nella lettera agli azionisti bianconeri delle ultime ore: «Il calcio italiano non sta trovando al suo interno le risorse umane adatte a rilanciarlo e a ricollocarlo al centro del dibattito politico... I club italiani, pur in presenza di una congiuntura di mercato piuttosto favorevole, non sono stati in grado di crescere al passo dei loro competitor europei».

PROMOZIONE IN A - In merito, Saputo si era espresso nei giorni successivi alla promozione in A. Ribadendo la posizione di chi era stato più volte allo Juventus Stadium per studiare il modello del club campione d'Italia. «Agnelli mi ha detto “Joey, non posso cambiare il calcio da solo”. Andrea ha ragione quando dice che una squadra forte non serve, se la Lega è debole. Gli stadi vanno rifatti, sono brutti e vuoti: come possiamo attirare i grandi calciatori se la casa in cui si esibiscono è mal ridotta e senza spettatori?».

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