TORINO - A dare retta a certe boiate, quello contro il Chievo doveva essere il gran debutto nel nuovo campionato della Juventus, come se le prime due giornate, cioè le prime due sconfitte, fossero state incidenti di percorso e quindi non contassero. In realtà, anche la terza partita dei campioni d'Italia si è rivelata "agghiacciante" come le altre che l'hanno preceduta: leggermente meglio per il risultato - pareggino sudato su rigore, che "muove" la classifica - persino peggio sotto il profilo del gioco. Anzi, per ciò che si è visto fino adesso, la Juventus non possiede un gioco: ci sono undici giocatori buttati lì, che si ammassano, si accalcano, si ostacolano, non hanno geometrie, non hanno i tempi, tenuti insieme appena dalle iniziative personali e da null'altro. E che sono lunghi, lunghissimi: dall'ultimo difensore agli attaccanti ci sono sessanta metri di morbidezza, anche perché il centrocampo più forte d'Europa (o uno dei più forti) è stato smontato come il meccano. C'erano una volta Vidal, Pirlo e Pogba, nel primo tempo contro il Chievo sono stati schierati Pereyra, Marchisio e Sturaro: con tutto il rispetto, non è la stessa cosa. Chi è arrivato in estate ha cercato di mettere a frutto la propria arte: Alex Sandro ha scaraventato in area un buon numero di traversoni: ma doveva esserci Mandzukic in mezzo e invece latitava Morata.
Hernanes - nella sua conclamata lentezza - qualche pallone lo ha toccato in maniera intelligente, però non se non ha supporti va in difficoltà; Dybala è bravo e ancora fragile; Cuadrado è stato il più incisivo, non solo per il rigore che si è procurato ma per il semplice fatto che geneticamente prova sempre l'uno-contro-uno, quindi spesso salta l'uomo e crea superiorità. Non a caso è rimasto in panchina per un'oretta. D'accordo, ogni cambiamento ha bisogno di tempo, ma è stato un restyling non una rifondazione, insomma esiste un limite fisico e fisiologico per la pazienza. Che non è infinita. Poi magari qualcuno - usando il linguaggio comune o i nuovi mezzi di comunicazione - fornirà le adeguate spiegazioni. A noi sembra di rivivere le inquietudini di cinque anni fa. Comunque, al netto dei risultati di oggi, che potranno ulteriormente dilatare il distacco dalla vetta, rimane il particolare non proprio trascurabile della trasferta di Champions League, martedì a Manchester, contro il City di Pellegrini. Questa Juventus, arrangiata così, rischia una figuraccia. Può evitarla solo tornando a essere una squadra, con una organizzazione di gioco, una progettualità e un'anima. Ieri, pressapoco come era accaduto a Roma, la reazione è stata esclusivamente questione di cuore, di orgoglio, di dignità. Niente di più.