MILANO - Un codicillo cambia tutto. È quasi passato sotto traccia: lo stesso ministro dello Sport, Andrea Abodi, non lo ha citato nella conferenza stampa, condotta da remoto causa Covid, in cui ha illustrato i contenuti del decreto legge approvato venerdì scorso. L’ultimo rigo dell’art. 11 dello schema di decreto licenziato dal CdM è intervenuto sulla durata massima dei contratti degli sportivi professionistici - primi, ma non unici, i calciatori -, allungandola da cinque a otto anni. È il frutto di un lavoro a fari spenti, durato parecchi mesi: con poche parole, oltre a innovare una disciplina sostanzialmente ferma da 44 anni, Abodi è venuto incontro soprattutto ai presidenti dei club. Aurelio De Laurentiis in primis: il grosso, in termini di moral suasion, l’ha fatto il numero uno del Napoli.
Contratti sportivi: cosa cambia
Ma la novità riscuote consensi trasversali: Adl ha trovato l’appoggio compatto della Serie A - il tema è stato discusso in una delle commissioni volute dal presidente di Lega Simonelli - e anche la Figc ha dato il suo benestare all’operazione. La svolta non dispiace a nessuno: un bel segnale, per una volta. Sarà epocale? Più o meno. Allungare la durata massima dei contratti (ci sarà da firmarli, questi accordi lunghissimi, ma è un altro discorso) aumenterà il potere delle società, avvicinando idealmente i volatili giocatori a quel concetto di asset che, in maniera impropria, già rivestono nei bilanci. Proprio sotto questo profilo, però, cambierà poco e nulla. È infatti esclusa in partenza l’ipotesi di allungare i tempi di ammortamento, cioè il processo contabile che distribuisce il costo del trasferimento su tutta la durata del contratto.