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Cellino, Calciopoli e la nauseante sensazione di una disparità di giudizio

Una scheggia del passato è piombata sul pianeta calcio, in modo forse non del tutto estemporaneo, gettando nuova luce su una pagina oscura della storia sportiva italiana

Ora, questo è il racconto di Cellino, che non avrebbe ragioni di mentire, ma non fornisce riscontri concreti delle sue parole. Quindi, prima di esprimere giudizi sarebbe necessario vagliare le rivelazioni. Ma se la ricostruzione dei fatti si rivelasse attendibile, sarebbe l’ennesima prova di quanta poca giustizia ci sia stata in quel triste periodo del calcio italiano, che viene semanticamente riassunto con la parola Calciopoli. Mentre squadre con le stesse accuse venivano trattate in modo diametralmente opposto, anche grazie a intercettazioni sapientemente nascoste, mentre si separavano tanto perentoriamente quanto frettolosamente i buoni dai cattivi, in Lega Calcio c’era chi bruciava dei documenti che avrebbero impedito l’iscrizione ai campionati e, forse, conseguenze penali più gravi a chi li aveva prodotti.

È una vicenda parallela a quelle che portarono alla retrocessione della Juventus in Serie B e all’assegnazione dello scudetto all’Inter da parte di un commissario della Figc che era stato consigliere d’amministrazione nerazzurro fino a poco tempo prima. Uno spin off, direbbero gli appassionati di serie televisive e come certi legal thriller può riservare molte sorprese. Tuttavia, ancora una volta si sente affiorare la nauseante sensazione di digerire la disparità di giudizio e di vedere vilipeso il fondamento della giustizia che la vorrebbe, in teoria, uguale per tutti. Il calcio italiano affronta periodicamente crisi di legalità e moralità, non sembra imparare mai dal suo passato, non sembra in grado di riformarsi davvero e di cambiare sul serio le brutte abitudini. È più semplice, ogni volta, trovare un capro espiatorio e raccontare che punendolo si è ripulito il sistema. Per il resto, d’altronde, ci sono sempre la trielina e i bidoni dell’immondizia.

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