Sguardo limpido, fronte sgombra e volto più disteso del solito. Igor Tudor ci tiene a precisare che in questi suoi tre mesi di Juve, in fondo, non è cambiato nulla. Che le pressioni di un finale di stagione al cardiopalma fanno parte del mestiere - specie se alleni un club come la Juventus. Che ogni tecnico sa come disinnescare le pulsioni più vertiginose. Ma i suoi occhi lo tradiscono: sembra quasi che nel bucolico e isolato verde di White Sulphur Springs - dove la Juventus sta svolgendo il ritiro in preparazione dell'esordio al Mondiale per Club negli Stati Uniti - Tudor abbia finalmente trovato la quiete interiore, dopo due mesi di apnea più totale.
Un viaggio iniziato formalmente a Spalato, lo scorso 23 marzo, quando è salito di corsa su una macchina - insieme ai suoi agenti - per arrivare il più velocemente possibile a Torino, conscio di prendere parte a una missione a tempo, con un contratto legato al verdetto della classifica. Il tutto, senza curarsi di quelle voci assordanti che escludevano a prescindere una sua permanenza in bianconero. Igor è andato avanti, con una freddezza olimpica, celando al meglio un nervosismo più che plausibile, per poi "sfogarsi" al termine del campionato, quando la Juventus aveva già rivolto a Conte i primi ammiccamenti. «Il mio futuro si deciderà prima del Mondiale - il commento a caldo del tecnico croato dopo il match vinto con il Venezia -. Viceversa, non sarebbe serio partire per l'America». Quasi a dire: "Il mio l'ho fatto, ora la palla passa a voi, ma affrettatevi a decidere...".