ENORME - Il Santiago Bernabeu è immenso. Le sue quattro mura di folla possono mettere soggezione solo con la loro mole: non hanno bisogno di fare particolare rumore. Basta la sensazione che avvolge qualsiasi giocatore si avventuri in questo moderno Colosseo: è l'ansia sottile trasmessa dalla storia che rende l'aria spessa, in ogni angolo dell'impianto, dove sono passati i migliori del mondo da almeno settanta anni a questa parte.
L'ANSIA - E poi c'è il prato, sempre bagnatissimo per facilitare i giocatori tecnici, gli unici che il tifoso del Real Madrid può, non solo ammettere nella sua squadra, ma concepire in assoluto. Non è facile giocare al Bernabeu, neppure per gli stessi calciatori del Real, che possono beccarsi fischi ingrati e devono sempre meritarsi l'appoggio delle tribune, dove ci si siede con l'aspettativa di vedere vincere e divertire. Una sola delle due cose non basta: lo sa bene Fabio Capello a cui non è mai bastato portare il Real a pragmatici successi per essere amato.
L'OVAZIONE - Insomma, il Bernabeu ti intimidisce senza chiasso: è il centro di un impero, agisce più sulle teste e sui cuori che sulle orecchie. Chi ha vinto là dentro (e la Juventus lo ha fatto due volte) ci è entrato sfrontato e sereno: solo così si può beffare il miedo escénico, nome e cognome assegnato dai madridisti alla paura che scioglie le ginocchia in mezzo a quel campo. Chi ce l'ha fatta qualche volta ha pure rimediato l'applauso di un pubblico che, toccando vette sublimi di snobismo calcistico solo spruzzate da sana sportività, non si vergogna di tributare una standing ovation al calciatore che, del Real o no, lo ha fatto godere per novanta minuti. Questo è il Bernabeu. E la Juventus è pronta a entrarci.