Sabato sera, all’Allianz Stadium, Sara Gama non ha pianto. Forse un accenno nell’abbraccio con Rosucci al momento del cambio. Per il resto nessuna lacrima. E questo non perché non fosse emozionata o perché la scelta di lasciare il calcio giocato non l’abbia toccata, smossa, anche provata, nel profondo. Ma perché per lei quella decisione era tale da tempo. E, Capitano ancora una volta oltre che per sempre, ha voluto che la serata di addio fosse più che altro fatta di festa, di gioia, di orgoglio. E così è stato, così lei è riuscita davvero a viverla. E adesso? Vuole fare e “recuperare” tante cose, ma sfogliando la sua agenda non sarà così semplice…
Sara Gama, quando esattamente ha maturato questa decisione?
«Quando il 1° luglio 2022 è entrato in vigore il professionismo, e con la Juve ero reduce dal triplete, mi sono detta “Non posso chiedere molto di più”. Quello è stato l’inizio di un lungo processo. Poi, in realtà, le due stagioni successive sono state davvero difficili e quindi sono rimasta aggrappata, perché pensavo non fosse giusto chiudere in un momento in cui, sia il club sia la Nazionale, non stavano esprimendo al massimo il proprio valore. Quest’ultima stagione l’ho iniziata senza aspettative, ma subito ho notato come ci fosse qualcosa di differente… E così dopo i primi mesi ho maturato definitivamente la decisione, prima quindi dell’infortunio che ha guastato un po’ la mia annata».
Quindi quelle lacrime le aveva già versate tempo prima…
«Esattamente. E sabato, con gioia, ho pensato che fosse valsa la pena restare aggrappata. Qualche momento toccante c’è stato, ma la commozione l’ho trovata più negli altri».
“Nella lettera delle mie compagne c’era tutto” ha detto nel post partita: c’è qualcosa che, a mente più fredda, vuole dire loro oggi?
«All’Allianz ho visto il culmine di quello che hanno fatto e sentono per me, mi hanno fatto un regalo bellissimo vincendo questo scudetto. Anzi, ce lo siamo fatte perché mi sento partecipe, all’inizio dal campo, poi anche da fuori, ho sempre cercato di essere vicina alla squadra. Invece nell’abbraccio all’Allianz ho detto loro solo una cosa: “Rifocalizziamoci subito su sabato prossimo!"».
A proposito, che partita si aspetta con la Roma nella finale di Coppa Italia?
«Una partita diversa da tutte quelle di campionato: bisogna settarsi completamente su questo tipo di gara e mettere da parte tutto quanto già accaduto. Come ogni finale, sarà molto difficile».
Facciamo qualche passo indietro nella sua carriera e parliamo di allenatori: chi è stato quello più empatico?
«Devo andare molto indietro…Dario Pavan, il primo allenatore nella mia prima esperienza in una squadra tutta al femminile: un personaggio straordinario che ancora oggi, quando ci sentiamo, sa già quello che provo solo guardando quello che faccio».
E quello con cui ha impiegato più tempo a creare il giusto feeling?
«Ovviamente non dirò un nome! Ma tendenzialmente io sono una persona diretta e quindi ho stretto più facilmente rapporti con persone dirette come me. In caso contrario ho fatto più fatica, ma è una questione di comunicazione che risulta meno efficace».