LONDRA - Con quelle sei dita mostrate al pubblico di Anfield intento a sbeffeggiarlo con cori che ne preconizzavano un esonero immediato, e tese a sottolineare i titoli vinti nelle ultime sette stagioni, Pep Guardiola ha firmato la resa del suo Manchester City e l’addio definitivo a quell’immagine dell’umile genio con cui, a dispetto della sua grandezza, si è sempre pubblicamente proposto. Lui, il più leggendario allenatore della sua generazione, vincitore di 34 trofei in 16 anni di carriera, e sempre pronto a sminuire la sua personale grandeur, evidenziando invece quella dei suoi calciatori, all’improvviso, sentitosi messo all’angolo, ha ceduto alla tentazione di mettere sé stesso davanti a tutto e tutti. Un moto d’orgoglio umanamente comprensibile, soprattutto perché arrivato da chi ha un’esperienza estremamente limitata delle sensazioni che accompagnano la sconfitta. Ma che di fatto lancia un messaggio pericoloso al popolo dei Cityzens, incitandolo implicitamente e per la prima volta a gioire della gloria accumulata a iosa nel recente passato invece che ad attendersi nuove vittorie da celebrare tutti insieme. «Tutti gli stadi vogliono licenziarmi, è iniziato tutto a Brighton e, forse, hanno ragione visti i risultati che abbiamo ottenuto ultimamente».
Pep come Mourinho
«Dai tifosi del Liverpool, però, non me lo aspettavo», ha detto a fine gara, affidandosi a quella strategia dell’assedio così lontana dall’immagine che si ha del catalano. Insomma, una cosa che ti aspetteresti da Mourinho, maestro nel segnalare con veemenza nemici veri o presunti, e nel mettere lui stesso davanti a ogni cosa. Come quando da tecnico del Man United, dopo una sconfitta per 3-0 contro gli Spurs, inveì contro tutto e tutti, uscendosene con la famosa frase: «Ho vinto più Premier io da solo degli altri 19 allenatori messi insieme». Poche settimane dopo, fu licenziato. A Manchester nessuno, ovviamente, avrà l’ardore di licenziare Pep Guardiola. Ci mancherebbe. Anzi, è molto probabile che lui stesso, rivedendosi nelle immagini di questo ultimo mese – dalla conferenza piccata durata pochi secondi, al volto sfigurato dai graffi auto inflitti, fino alle sei dita di Anfield – capirà che tutta questa collera sta offuscando la capacità che più delle altre ha contribuito a renderlo il più grande: quella di trovare sempre una soluzione immediata ai problemi. Probabilmente, dovrà iniziare dall’ammettere che questa crisi senza precedenti (6 sconfitte e un pareggio nelle ultime 7), non può avere come unica matrice i tanti infortuni. Il City deve tornare a correre in mezzo al campo, recuperare quell’intensità perduta per strada. E forse anche iniziare a pensare che dalla prossima stagione, problemi giudiziari permettendo, dovrà mettere in moto una ricostruzione della rosa: con Pep Guardiola, ovviamente.