Papa Francesco parla della sua prossimità familiare con Omar Sivori, uno dei più grandi giocatori della storia del calcio, il primo Pibe de oro (soprannome che, due generazioni calcistiche dopo, avrebbe caratterizzato pure Maradona), racconta della sua inscalfibile fede sportiva per il San Lorenzo e si produce nella cronaca di una leggendaria partita della sua infanzia. In un altro punto dell’autobiografia, rammenta invece il rapporto degli emigrati italiani a Buenos Aires con il Grande Torino, che perì nella tragedia aerea di Superga.
Papa Francesco
«La musica popolare sarebbe sempre stata un legame tra due mondi, anche negli anni a venire, come una corda tesa da una parte all’altra dell’oceano; più avanti sarebbero arrivate le Parole parole di Mina o la Zingara di Iva Zanicchi da cui farsi prendere la mano. Così come, al contrario, fu un lutto, e non solo nella comunità piemontese di Buenos Aires, quando nel maggio 1949 giunse la notizia della tragedia di Superga, e si seppe che l’aereo che trasportava la squadra del Torino, una delle più forti del mondo, che costituiva la colonna portante della nazionale di calcio italiana, si era schiantato contro il muraglione del terrapieno della basilica, e tutti erano morti. Molti anni dopo, ci sarei andato di persona a visitare quella basilica, sostando commosso sotto la lapide con i nomi delle 31 vittime. La corda non si spezzò, quel dolore popolare rinsaldò legami.»
Giocare a calcio mi è sempre piaciuto, e cosa importa se non ero un granché. A Buenos Aires quelli come me li chiamavano pata dura. Che vuol dire avere due gambe sinistre. Però giocavo. Tante volte facevo il portiere; anche quello è un bel ruolo: allena a guardare in faccia la realtà, ad affrontare i problemi; magari non sai bene da dove quel pallone sia partito, ma devi provare ad afferrarlo comunque. Come accade nella vita. […]