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Grazie Pizzul, cantore di un’altra Italia: con te era tutto molto bello

Il fumo e Bearzot, l’amico Vicini, le carte. «Oggi troppe parole in tv. Inutili» 

«Scrivi sempre quello che vedi. Poi valuta tu se scrivere sempre quello che senti». Lo intesi come un doppio consiglio con duplice riferimento: al sentire con le orecchie, nel senso di ascoltare, e al sentire con il cuore, quello che a volte deve lasciare spazio al cervello. Mi perdonerà, il signor Pizzul, il gigante Bruno e buono, se attacco questo articolo con quello che sente il cuore e se utilizzo, una tantum, un vissuto personale: non è per gratificare me, all’epoca pischello giornalistino in soggezione che gli si rivolse dandogli del lei, ma per far capire com’era lui, al di là delle cose che tutti sappiamo e tutti ricorderemo.

"Tutto molto bello", un marchio di fabbrica

Tipo che era una persona perbene, e non certo perché troppi siano soliti dirlo dei morti, ma perché era la prima sensazione che avevi quando lo incontravi; anzi, appena lo sentivi. Quando parlava in tv, con quel vocione caldo e gentile, nasale e pastoso (cit.) e raccontava il gioco del pallone in un modo che nessuno è più riuscito a fare né più riuscirà. Senza enfasi, eppure con trasporto. Senza orpelli, fossero lessicali o nozionistici, eppure prodigo di dettagli e osservazioni che arricchivano il piatto. Anche quand’era un piatto povero. «Francamente, non è una bella partita». Quante volte glielo abbiamo sentito dire in telecronaca e quanto ci manca quella schiettezza cronistica, oggi che - per ragioni di marketing, sponsor, audience, autopomozione - si spacciano come match del secolo incontri inguardabili, e si grida al miracolo se qualcuno fa un dribbling o mette in mezzo un cross come Dio comanda. Lui, che a calcio aveva giocato da arcigno centromediano arrivando perfino a marcare Sivori e di calcio ne capiva, dopo qualche giocata tecnicamente apprezzabile al massimo s’allargava a esclamare: «Tutto molto bello». Un marchio di fabbrica.

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