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Romy Gai: "Juve top brand italiano nel mondo. Futuro calcio? Lo vedo così"

Intervista al Chief Business Officer Fifa che è stato nel club bianconero per 14 anni. Il 13° uomo marketing più influente del mondo spiega la sua visione

"Quando conosco qualcuno non è raro che mi dica: ah, lei è quello che era alla Juventus". Eh sì, la Juventus per Romy Gai è stata una tappa importante sotto tutti i punti di vista, anche quello sentimentale, ma adesso è il Chief Business Officer della Fifa e da ieri è tredicesimo nella classifica dei 50 uomini marketing più influenti del mondo pubblicata da Forbes. Un riconoscimento di una carriera che lo ha visto porre le fondamenta della Juventus degli Anni 90, con idee che restano attuali ancora oggi, e poi girare il mondo da Oriente a Occidente, sempre inventando modi per vendere lo sport e aiutare le aziende a vendere grazie allo sport.

Complimenti Gai, come dire... è un risultato da Mondiale. 
"Dimostra che lavorare e collaborare con la Fifa è qualcosa che tutte le aziende e i marchi importanti vogliono fare. Alla Fifa siamo in grado di aprire le porte del mondo ai nostri affiliati commerciali in un modo unico e d’impatto, in primo luogo perché il calcio unisce il mondo e, in secondo luogo, perché la Fifa è un’organizzazione forte, dinamica e credibile".

In quella classifica siete solo in due ad arrivare dal mondo dello sport. 
"L’altro è Tim Ellis della Nfl".

Maestri assoluti del marketing, visto che incassano cifre astronomiche vendendo uno sport, il football Usa, che, in fondo, interessa agli americani e a una sparuta minoranza nel resto del mondo.
"Sì, ma loro sono orientati al profitto, è la loro mission. Noi della Fifa operiamo da società no profit. Certo, cerchiamo i ricavi, ma il nostro obiettivo finale è la diffusione del calcio nel mondo, quindi aiutare le federazioni nello sviluppo del nostro sport e abbiamo sempre presente temi come la sostenibilità, l’uguaglianza, la parità di diritti. Consideri che il 70% delle Federazioni mondiali riesce ad alimentare l’attività di base grazie ai contribuiti della Fifa. Ecco, quella è la nostra finalità. Quando ci approcciamo a un’azienda, parliamo prima di tutto di questi temi, solo alla fine si ragiona sui diritti e sui soldi. Prima di portare a bordo qualcuno dobbiamo confrontarci su quelle che i temi".

Il tema dei diritti tv del Mondiale femminile che sta per partire entra in quest’ottica. 
"La Fifa ha investito un miliardo di dollari sul calcio femminile. E in questo mondiale i premi alle atlete saranno i più alti di sempre: si parte da 30.000 dollari per la partecipazione, che verranno riconosciuti a ogni calciatrice fino a 270mila dollari per chi vincerà. Se si considera che lo stipendio medio delle partecipanti è di 14mila dollari si può comprendere come quelle cifre per molte di loro possono essere importanti. In tutto questo però combattiamo ancora contro la scarsa attenzione che riscontrs il Mondiale femminile in molti Paesi".

Infatti la vendita dei diritti è stata problematica... 
"Ora, io dico questo: la maggior parte delle televisioni interessate a trasmettere il Mondiale sono emittenti di Stato. Quale coerenza ci può essere a portare avanti tutti i discorsi politici sull’uguaglianza e sulla parità di trattamento economico fra uomini e donne, se poi nello stesso tempo di offre per i Mondiali femminili l’1% - dico l’uno per cento! - di quelli maschili. Che è sbagliato anche sotto il profilo commerciale, perché l’audience è del 10% e in certi casi del 20%. I Mondiali in Francia del 2019 hanno accumulato complessivamente un miliardo e duecentomila spettatori, e la finale ha avuto il doppio dell’audience del Superbowl, visto che prima parlavamo dell’Nfl".

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