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Easier Project: "Il calcio ha un segreto e noi lo conosciamo"

A tu per tu con Nico Olivieri e Matteo Gatto, ideatori del progetto che punta a rivoluzionare lo sport ai massimi livelli: "L'eccellenza è una condizione normale, non un traguardo"

ROMA - Essere al proprio meglio. Ogni giorno. In ogni cosa che facciamo. Come fosse la regola e non l'eccezione. Essere presenti, "in the zone", nel flow per dirla all'inglese, in ogni campo della nostra vita. Quanto sarebbe bello? Quanto farebbe la differenza? E quanto la farebbe in campo, ai massimi livelli sportivi? È qualcosa che si può raggiungere, è qualcosa che si può ottenere. Anzi, secondo Nico Olivieri e Matteo Gatto, rispettivamente creatore e costruttore dell'Easier Project, è qualcosa per la quale non bisogna neanche sforzarsi. Bisogna semplicemente vedere quello che è davanti ai nostri occhi.

Cos'è Easier Project? E come si declina in una situazione sportiva, più precisamente calcistica?
"Perché Easier, partiamo da lì. Partiamo dal presupposto che non ci siamo inventati niente, è una professione, un filone che da qualche decina d'anni è presente e molto usato nel business e sul personale, anche nello sport, sia in Europa che in USA (NFL, golf, team olimpici). Ed è un filone che sta crescendo perché fa la differenza nel contesto in cui lo si mette in pratica. Easier perché quando si parla di performance e di benessere guardiamo a un milione di variabili - motivazione, forza mentale, gli spettatori, quanto ho dormito, etc. - ma a monte di tutto quello che influenza una performance, una prestazione, c'è una variabile più grande, che influenza tutte le altre. Come recita un detto inglese, "quando sale la marea salgono tutte le barche": ed è esattamente quello che facciamo col nostro lavoro. Siamo abituati a guardare barca per barca, ma c'è qualcosa che viene prima e quando lo capiamo, quando sappiamo come sfruttarlo, tutte le cose come creatività, motivazione, rialzarsi dopo un imprevisto, emergono in maniera naturale".

Riassumendo, parlate di qualcosa alla base che supera le dinamiche singole che siamo portati a tenere sotto controllo, ad analizzare per valutare una prestazione. Qualcosa di psicologico, di profondo.
"Parliamo di performance di qualunque tipo, nello sport è molto più evidente. Nello sport tra l'altro se ne discute constantemente, sappiamo che ne parlano allenatori, giocatori, preparatori atletici, di questo aspetto ci troviamo a sentire termini quasi magici, "abbiamo perso lo spirito", "staccato la spina", "quando c'è quella cosa lì quasi non serve più neanche che alleno"... L'impatto di tutto questo è tangibile, si vede nell'esperienza, solo che mancando una professionalità come la nostra che ti aiuta a unire i puntini e vedere dove intervenire, quella variabile diventa ingestibile, quasi una questione di scaramanzia".

In filosofia Socrate parlava di maieutica, del tirare fuori qualcosa che è già intrinseco all'essere umano. Il vostro sembra un approccio simile, dove finisce la retorica del lavorare duro, del mettere impegno esternamente?
"Noi facciamo questa distinzione, tra forza di volontà e forza di spirito. Siamo abituati a vedere la prima che però è una risorsa finita. E questo è evidente quando sentiamo frasi come "dobbiamo recuperare energie mentali" o "il campionato è lungo, ti logora" e simili. Se abbiamo come unica benzina la forza di volontà, che naturalmente non è infinita, entriamo in un discorso di esaurimento, di rifornimento, un su e giù emotivo e psicologico. Per fare un paragone, lavorare solo con la forza di volontà è come avere una barca a vela e mandarla avanti a remi. Ha senso solo se non hai capito come funzionano il vento e le vele. La forza di spirito è la vela. Qualcosa che tutti conosciamo, parlando del campo con allenatori ci dicono cose come "Alle volte mi sento in partita, vedo le mosse, riesco a capirle prima, altre volte non riesco, non sto girando, non va". Capire questo è entrare in un'altra dimensione".

I club di calcio però gli psicologi ce l'hanno già...
"Guarda, sono due cose diverse. Il nostro lavoro si integra a tutte le professionalità dello staff. Mettendo la squadra nelle condizioni di essere al loro meglio, metto anche lo staff nelle condizioni migliori per fare la differenza con le loro abilità, in maniera più semplice, psicologi inclusi. Ad esempio, se sono un allenatore e devo combattere con gli schemi che non girano, con l'energia mentale della squadra, con la mancanza di empatia, di coesione del gruppo, farò molta più fatica anche se sono un fenomeno. Al contrario posso fare davvero la differenza da guida esperta se posso lavorare su un materiale pronto a dare il meglio. E non ci riferiamo solo agli allenatori, abbiamo parlato anche con tanti preparatori atletici ed è venuto fuori che persino i test fisici fanno fatica a dare dati oggettivi, la variabile interna li influenza. C'è un link con gli infortuni, ad esempio. E c'è un link anche con la parte mentale, quella psicologica, ma il nostro lavoro sta a monte: puoi andare ad allenare il pensiero, puoi essere allenato a gestire lo stress, l'imprevisto in partita - trovarsi sotto di un gol, sotto di un uomo, etc. - ma ci sono momenti in cui viene facile e naturale gestirle e momenti in cui queste tecniche non si riescono ad usare. È come avere un obiettivo della telecamera con un vetro appannato: tutte le componenti sono al top, sono un grande fotografo, le batterie sono cariche, la macchina è pronta a dare il meglio eppure… Se non so come tenere il vetro perfetto, farò fatica nonostante ci siano tutti i presupposti per dare il meglio".

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