TORINO - Da Livorno a Yerevan, 3.500 chilometri – più o meno – per giocare a pallone. O, almeno, provarci. «Era il mio desiderio – racconta Alessandro Marchetti -. Già quando ero andato in Bulgaria, pensavano che stavo finendo fuori dal mondo. Figurarsi quando ho detto che sarei andato in Armenia, era come finire a Bagdad...». Necessario un passo indietro. Marchetti nasce terzino, una vita nelle giovanili amaranto poi in giro per l'Italia minore. Comincia a Casale, dopo aver detto no al Cecina («Vinciamo i playoff di D ma non siamo ripescati: quell'anno non fallisce nessuno»). Transita un paio di volte da Carrara, con una delusione a Legnano nel 2010: «La società è in crisi, otto mesi senza stipendio ma arriviamo ai playoff per la C1, che perdiamo con lo Spezia: 2-1 in casa e 2-0 per loro al ritorno, con tre espulsi e un rigore inesistente. Non davo spazio alle chiacchiere ma qualche domanda me la sono fatta quando Bagalini, l'arbitro di quella partita, è stato tirato dentro il calcioscommesse». Nel 2012 si materializza l'ipotesi di lasciare l'Italia: «Ero stato sei mesi ad Alessandria con Sonzogni. Lui va in Bulgaria e mi chiama, Peppino Tirri aveva rilevato il Botev Vratsa. Ero scettico, ma c'era Floriano – oggi al Mantova – che era stato con me ad Alessandria e il progetto era importante. Eravamo dieci italiani, una realtà organizzatissima, l'ambiente splendido». Ma qualcosa si rompe: «Non arrivano i contributi promessi dal sindaco, Tirri molla e gli italiani se ne vanno, tornano i bulgari. Restiamo io e Ammendola, poi solo io. E' stato bello comunque, vivevo come in una vacanza ma convincevo tutti con il gioco e imparavo le lingue: il portoghese dai due brasiliani, l'inglese con gli altri. Mi sentisse oggi la mia prof... Mi chiamavano “lo straniero”».
COME FRATELLI Nasce un amore per la Bulgaria, ma non corrisposto, anche perché il Botev retrocede e i piani cambiano. La scorsa estate spunta l'Armenia, proposta da Alessandro Magni, agente specializzato in soluzioni “alternative”: «Era serie A, con una solida realtà economica. Dico di sì pur se sembra fuori dal mondo, tra Turchia, Georgia, Azerbaigian e Iran. Il primo mese è fantastico, ritrovo Ara Houhannisyan, che era stato con me nella Primavera del Livorno. E' il capitano, non crede che sia io. Per un mese siamo come fratelli». Poi la svolta, in negativo. Perché l'invidia è una brutta bestia, anche in Armenia: «Siamo andati lì io e Alessandro Venezia, le attenzioni sono per noi e nascono le gelosie per cose futili, anche per un semplice servizio fotografico. Cominciano a dire che si perde per colpa nostra oppure che non meritiamo i premi vittoria perché guadagniamo di più. Una follia. Ma loro sono fatti così, almeno i calciatori: vogliono fare le primedonne, farti vedere che sono potenti». Il risultato è scritto: «Una guerra tutti i giorni, con Ara che parlava male di noi. Non giochiamo più. Sono stati quattro mesi da dimenticare, l'avessi previsto avrei detto di no». Questo a livello professionale, perché a livello umano Marchetti vive un'esperienza importante: «Dire che ho trovato persone accoglienti è dire poco, sono sempre stato trattato benissimo e questo dimostra come sia importante non avere pregiudizi. Abitavo in un bellissimo residence ad Abovyan, a una ventina di chilometri da Yerevan, che è un altro mondo. In Bulgaria la vita costava pochissimo, un po' di più a Sofia. A Yerevan ti sembra di essere a New York, alle tre di notte sono ancora tutti in giro a passeggiare. Trovi i marchi internazionali più importanti, gli affitti arrivano a 3.000 euro al mese, il lusso è vero, il traffico è sempre imponente perché tutto si decide lì. Fuori è veramente Bagdad, deserto totale... Ho preso qualche volta il taxi per andare fin là, ma era un problema di voglia: ti mancavano gli amici, le serate a bere». E c'è un rimpianto sportivo, comunque: «E' un campionato a 8 squadre, sei di Yerevan. L'unica trasferta lunga era quella a Kapan, vicino a Iran e Azerbaigian. Si gioca in due stadi, solo il Pyunik ne ha uno di proprietà. Hanno i soldi ma non sanno gestirli, li spendono male. Non ci sono ritiri, mi presentavo due ore prima della partita, come un match tra amici. E non c'è una tattica, sempre uno contro uno. Tolte Ararat e Shirak, sono tutte abbordabili, fatte con lo stampino. Con un progetto e una buona organizzazione fai cose importanti. Io però vado dove guadagno e trovo uno sbocco positivo per la mia carriera». Una carriera che Marchetti avrebbe voluto continuare all'estero, con il sogno Bulgaria (lo voleva lo Slavia Sofia) o l'alternativa Ungheria (Honved oppure Ferencvaros). Il terzino ripartirà dall'Italia, ha firmato fino a giugno con il Savona, per una Prima divisione di alto profilo. Di rifare le valigie se ne parlerà a giugno. Forse.
Twitter: @sandrobocchio