TORINO - Meno solenne di una preghiera, ma più accorata di un semplice auspicio. Quella che sgorga dall’anima di Federica Brignone è una genuina invocazione: «Ora ho bisogno delle Olimpiadi di Milano Cortina. Fino al momento dell’infortunio, in tutta sincerità, non vivevo i Giochi come un’urgenza. Certo: si tratta di un evento straordinario, e per giunta in casa. Ma una medaglia in più non avrebbe aggiunto nulla all’atleta che sono e alla carriera che ho costruito. Mi sarei anche potuta ritirare, al termine dell’ultima stagione. Adesso è tutto diverso. Adesso ne ho bisogno perché, per l’entusiasmo e la passione con cui interpreto questo sport, non posso proprio concepire di chiudere il cerchio in questo modo. Voglio salutare con il sorriso, non con una gamba distrutta».
Le condizioni e il recupero dall'infortunio
Federica Brignone, “come stai?” è una domanda che di solito scivola via anonima: è diventato doloroso, invece, dover rispondere ogni volta in relazione all’infortunio?
«Sì e no. Di certo è diventata una domanda meno banale di prima, mi fa piacere che tanta gente si preoccupi per me. Ma mi pesa il fatto che tutti vogliano sapere il quando e il quanto: sono la prima a fare di tutto per serrare i tempi, però sono anche la prima a non conoscere l’orizzonte del mio ritorno sugli sci».
Dunque… come sta?
«L’iter procede benissimo, anche se da atleta vorrei che tutto andasse ancora più in fretta. Ma l’interessamento tanto di una parte ossea quanto di una legamentosa aumenta l’incertezza sui tempi di recupero: i precedenti sono pochi e con decorsi anche molto differenti tra loro, nemmeno i medici hanno delle risposte».
Ma, a distanza di due mesi dalla caduta, ha trovato un senso in quello che è accaduto?
«Non credo alla casualità, per questo cerco sempre il perché delle cose. Eppure quello era il momento più felice della mia vita, stavo facendo quello che avevo fatto per tutto l’inverno. Per dire: avevo dormito bene la notte prima e fatto un buon riscaldamento in vista della gara. Alcune volte, semplicemente, un perché non si trova e non ha senso incaponirsi a cercarlo. Forse era soltanto tempo per una nuova sfida, per imparare qualcosa di nuovo. E bisogna accettarlo».