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Sofia Goggia: "Mondiali in Qatar? Metaverso"

A nove mesi dall’ultima gara e dieci e mezzo dall’ultimo infortunio, la bergamasca riapre il cancelletto nella prima discesa di Lake Louise con una nuova versione di sé stessa

TORINO - «Avere finalmente aperto il cancelletto dopo tutta questa lunga attesa è stata una liberazione». A 259 giorni dall’ultima gara nelle finali di Coppa, dove s’era trascinata dopo l’argento-miracolo delle Olimpiadi di Pechino per alzare la coppa di specialità conquistata vincendo quattro delle prime cinque discese, anche quella di Cortina il giorno prima dell’ennesimo crac (ginocchio sinistro) in superG, Sofia Goggia è tornata a confrontarsi con un cronometro e le avversarie, per ora in prova. A Lake Louise, dove domani dopo la cancellazione di Cervinia («una brutta botta, ero già entrata nel mood di gara») e il no al gigante di Killington («era l’ultima opportunità che avevo per allenarmi con gli sci lunghi, quindi sono rimasta a Copper») si apre la stagione della regina della velocità con due discese e un superG. Dal Canada arriva una voce carica di speranza, voglia, dubbi finanche. Per la lunga attesa e inattività. E quell’“essere Sofia Goggia” che significa vivere di emozioni fortissime, anche bastano pochi minuti perché esca la Sofia che il mondo ha imparato a paragonare ad Alberto Tomba. Una bomba. In pista e a livello di comunicazione. Personaggio, insomma.
 
Allora Sofia come andrà quel cancelletto in gara domani?
 
«Sapendo di poter sciare come voglio io. Penso di aver fatto le scelte giuste. Un anno fa di questi tempi ho vinto 5 gare in 17 giorni, ora di fatto rientro da un infortunio, perché il capitolo Olimpiadi è stata un qualcosa a parte e poi mi sono trascinata in giro per arrivare ad alzare l’agognata terza coppa di discesa. Insomma, non posso e non devo essere la stessa».
 
Cadute, operazioni, ricadute, operazioni: si rivede nella storia di Marc Marquez?
 
«No, anche se apparentemente ci sono molte analogie. So che il suo è stato un calvario, lungo e pensante».
 
Marc una volta ci ha raccontato che dopo un po’ pesano di più le cicatrici nell’anima che quelle sul fisico.
 
«Lo capisco. Ma è proprio dentro te stesso che trovi le risposte, la spinta a continuare. Sempre. Io stessa mi sono interrogata tanto e tante volte. Anche sul perché. Perché disputare un’Olimpiade con l’ennesima corsa contro il tempo e in condizioni pessime? Stavo malissimo. Ma mi sono detta: se tu, Sofia Goggia, non rischi il tutto per tutto per quello in cui credi e insegui da una vita, allora che valore ha quello che fai? È quello che mi ha fatto mettere in gioco, perché l’Olimpiade per me è il valore più grande che ci sia».
 
Come a Paris, Brignone e Bassino la Fisi ha dato una tecnico personale.
 
«Quando arrivi a un certo livello serve altro per proseguire, migliorare. Lo sport si sta sempre più individualizzando e sta diventando sempre più specifico. Ciò che può andare bene per una ragazza non è redditizio e produttivo e allo stesso modo per un’altra. E visto che noi siamo cavalli da corsa e dobbiamo rendere al 100%, ognuno deve fare la propria strada per riuscirci. La privatizzazione e la specializzazione è la strada giusta».


 
Con il nuovo allenatore Agazzi come va?
 
«Bene, è un tipo molto tranquillo. Ho scelto lui perché è bergamasco e mi conosce fin da quando sono piccola. Con il Canada ha fatto un ottimo lavoro e Babi (lo skiman Barnaba Greppi, ndr) lo conosce bene, visto che ci ha lavorato quando erano insieme al team Gut. Sapevo già che sarei cascata ben in piedi».

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