Tuttosport

LIVE

Patrizio Oliva: “Serve rilanciare il professionismo”

Patrizio Oliva: “Serve rilanciare il professionismo” LaPresse
La ricetta dell’ex campione, attore e scrittore, per ridare slancio  all’Italia sul ring

Chiamatelo dottore. Si è appena conquistato una seconda laurea, terza considerando quella Honoris causa ricevuta a Foggia: la prima in scienze turistiche, quest’ultima in scienze motorie all’università di Napoli. Dottore che fa rima anche con attore, l’altra passione sua, eppoi scrittore (è uscito di recente “La mia storia” raccontata con l’ottimo Dario Torromeo), cantante, ex pugilatore (termine antico che gli si addice) in rima con campione: olimpico, europeo, mondiale. Patrizio Oliva è tutto questo e tanto di più viste le mille attività da curriculum. Un uomo che ama la sfida. Quella per la laurea instillata da una delle figlie, Alessandra che ora abita a New York. Ma un giorno gli disse: «Papà, parli bene, hai cultura, ma nemmeno il diploma». E lui: «Ho lasciato la scuola per la boxe, facevo troppi ritiri collegiali. Però ho sempre studiato: mio fratello, insegnante, mi dava i libri. Ma ora ti faccio vedere». E in un anno prese il diploma. Allora lei: «Papà, che sarà mai un diploma. Dai! Quella che conta è la laurea e tu non ce l’hai». E lui: «Questa è una sfida, vedrai!». E dopo un bel studiare, notte e giorno, arrivò la prima laurea. Quella sfida ha segnato un’altra vittoria. Certo, con i pugni Oliva si sentiva più campione e meno studente. «Ma la laurea è un messaggio ai ragazzi. Per dire: non è mai tardi». Va ricordato anche alla boxe italiana. “Sbrigatevi! Sennò non ci risolleviamo più”. Lui che oggi è istruttore per i bambini, dopo essere stato per anni ct della nazionale. «Me lo ha chiesto il presidente D’Ambrosi: dammi una mano con i bambini per impostarli, guidarli». «Vero: bisogna proteggerli, poi lanciarli. Cammarelle, Russo, Picardi hanno cominciato con me. Evito che prendano botte, faccio prendere medaglie».  

Dai bambini ai grandi. Dottore, come sta la nostra boxe? 
«Stiamo pagando un gap di 25 anni dovuto ad una gestione federale scellerata nel professionismo. Non si può lavorare solo sul dilettantismo, come ha voluto Franco Falcinelli negli anni della sua presidenza (2001-2013 ndr.). Lui ha pensato a fare carriera internazionale e ai contributi del Coni. Scelta intelligente per le casse federali, ma nell’immaginario collettivo la boxe è fatta dal professionismo. Un ragazzo pensa a diventare campione del mondo. Pure io, da bambino, mi proclamavo campione del mondo davanti allo specchio. Poi pensavo all’oro olimpico. E posso dire che ho vissuto una vita come l’ho sognata». 

Forse il professionismo non è più così remunerativo? 
«La realtà è che i nostri dilettanti più bravi sono stati stuzzicati a restare tali: facendo due conti, potevano mettersi in tasca anche 5.000 euro al mese. Pure a me vennero fatti ponti d’oro. Ma dissi no: li guadagno con un mondiale. Loro si sono presi il sicuro e addio al sogno di diventare campioni del mondo. Non saranno mai come me, Benvenuti, Stecca, Parisi. E quando stavo per dire basta con la boxe, mi proposero un match con Macho Camacho per un milione di dollari. Era la botta della vita. E chi mai li aveva visti? Valevano un miliardo e 700 milioni di lire. Poi gli americani cambiarono programmi. Proposero Brazier, numero 8 della classifiche, per 500 mila dollari. Si poteva fare: 750 milioni… Alla fine arrivò Martin Coggi. Dicevano un sudamericano con un po’ di pugno. Alla faccia! Ma ormai…Feci tutto tranne che il pugile». 

I professionisti trainano… 
«Quando combattevo facevo 9-10 milioni di audience Tv. Oggi, se vado in giro con Cammarelle, Russo, Irma Testa, sono l’unico ad essere riconosciuto: ben 30 anni dopo. Se vogliamo risalire abbiamo bisogno di immagine, servono sponsor. D’Ambrosi lo ha capito e sta provando con la Tv: Rai, Mediaset. Il professionismo morirà, se perdiamo anche questo treno». 

Servono pure pugili: l’ultimo match di Guido Vianello a Las Vegas, che poteva portare al mondiale dei massimi, ha disilluso. E gli altri: Zucco, Squeo, Magnesi, Oliha… 
«Rocco Agostino, il mio manager, mi disse: ti faccio combattere contro ogni tipo di pugile per portarti al mondiale. E quando andai contro Ubaldo Sacco ero pronto a tutto: sarei morto sul ring pur di prendermi la corona. Oggi devi forgiarti, non servono avversari che vanno a terra al primo round. Ho visto Vianello: timido, titubante, l’avversario scorbutico, un po’ di pugno ma niente di più. Mi chiedevo: cosa sta facendo? Io sapevo di dover fare a botte: facevo il pugile non il cameriere. Prima di tutto devi essere vero con te stesso». 

Viste le ultime due Olimpiadi dei maschi, vanno meglio le donne: Irma Testa, il bronzo a Tokyo… 
«Le donne sono migliori perché tutto è più facile, ci sono meno avversarie: la metà degli uomini. Vanno in Coppa del mondo e sei già bronzo al primo match. Comunque sono ragazze in gamba. E Irma, quel bronzo olimpico, se l’è dovuto faticare». 

Invece la commedia di Angela Carini con Imane Khjelif a Parigi? 
«Non una bella figura. Conosceva l’algerina, che per anni s’era allenata ad Assisi. Quindi sai se è maschio o femmina. Parli di paura? Non combattere. Vuoi protestare? Vai sul ring, alzi la mano e ti ritiri. Invece non prendi tre cazzotti in bocca e dici al maestro: fa male. Non stai giocando a ping pong. E hai messo sulla graticola una povera ragazza chiamata gay, trans, uomo: che all’anagrafe è femmina. Avrà scompensi ormonali ma finora è femmina. Lo sai perché ti sei allenata con lei». 

Ci siamo persi l’epoca dei grandi pugili. 
«I miei due idoli sono stati Muhammad Alì e Nino Benvenuti. Mi ha affascinato Sugar Leonard: arricchiva gli occhi. Lo vidi la prima volta ai Giochi di Montreal e mi dissi: mamma mia! Questo chi è? Oggi la tecnica non esiste più. In Italia tutti partono con colpi larghi, sventoloni, ceffoni. Ho scritto un libro sulla tecnica dove spiego che la boxe è uno sport di percezione. Il pugile ti scruta con gli occhi, osserva ogni minimo movimento per capire. Quella è boxe. Tyson era rapidissimo, i colpi non erano telefonati e ti mandava ko. Io non ero forte fisicamente ma rapido e veloce nell’esecuzione: i miei colpi non si vedevano, si sentivano». 

Serviva venire dalla macerie per essere buoni pugili? 
«Posso dire che è raro vedere un ragazzo di buona famiglia, vita agiata, fare buoni risultati. Però Vianello viene da buona famiglia. Ed è vero che oggi i neri del ghetto possono far soldi in altri modi. Per me la boxe non è stato un riscatto della vita, benché sia arrivato dalla povertà. Amavo questo sport: non per salvarmi dalle macerie. Avevo fatto una promessa a mio fratello Ciro sul letto di morte». 

Oggi racconta a teatro la sua storia di vita. Un successo? 
«Un successo e, in accordo con il ministero dello Sport e Politiche Giovanili, abbiamo portato a teatro anche 500-600 studenti delle Medie superiori. Alla fine si fa un dibattito dove parlo di bullismo, criminalità, droga. I ragazzi sono attenti, informati. Chiedono come ho superato la morte di mio fratello, il dramma di mio padre che picchiava mia madre da ubriaco. Cominciò ad ubriacarsi quando morì mio fratello. È stato un uomo che ha visto la violenza. Suo padre morì ucciso da una fucilata del fratello, mentre teneva in braccio proprio lui. Fu partigiano a Cefalonia: i tedeschi tre volte lo arrestarono, tre volte scappò. Poi finì davanti ad un plotone di esecuzione. Svenne per la paura e si salvò cadendo nelle fosse già pronte per i morti. I colpiti gli cadevano sopra: i tedeschi non gli spararono il colpo risolutore. Lo salvò una donna greca che poi sposò. Ebbero un figlio che, per diversi anni, ha vissuto a Napoli con noi prima di partire per l’America: dove ha fatto fortuna». 

E Oliva cosa lascia agli altri nel suo racconto teatrale? 
«Un mantra che racconta la guardia del pugile: gamba sinistra avanti, ginocchia piegate, pugni in alto. Ovvero: gamba sinistra mi proietto nella vita, ginocchia piegate le delusioni, le batoste, pugni in alto la riscossa. Se vuol crederci, un signore di Roma mi fece leggere la lettera scritta alla moglie perché voleva suicidarsi: aveva perso il posto di lavoro da due giorni. Mi disse: ho visto lo spettacolo, ascoltato tutto, ho ripreso la vita fra le mani».

Abbonati a Tuttosport

L'edizione digitale del giornale, sempre con te

Ovunque ti trovi, tutte le informazioni su: partite, storie, approfondimenti, interviste, commenti, rubriche, classifiche, tabellini, formazioni, anteprime.

Sempre con te, come vuoi