E’ questo che fa del ciclismo la sua unicità: il suo continuo e commovente ricorso alla storia. Stamani i corridori pedaleranno contro il tempo, uno dopo l’altro in perfetta solitudine come soldati smarriti ma caparbi, in una cronoscalata decisiva dal ponte degli alpini di Bassano sino in vetta al Monte Grappa, il monte della Patria. Una scelta azzeccata che darà un verdetto importante, con la coppia colombiana Quintana-Uran teoricamente intangibile per tutti gli altri e con il nostro Fabio Aru forsennatamente proteso alla conquista di un podio che a soli 23 anni lo eleggerebbe tra le più concrete speranze del nostro ciclismo per i prossimi dieci anni nelle grandi corse a tappe. E ritornerà alla mente degli appassionati più vecchi che esattamente ottant'anni fa, su questo stesso percorso, si era imposto in una stessa cronoscalata dedicata ai dilettanti un certo Gino Bartali, anche lui figura insostituibile di sport e di storia di casa nostra. Il Giro ci commuove da sempre per questo, per la sua ammaliante e garbata propensione a insinuarsi fra la gente, cogliendo i lati più umani di quell’italianità che - quando sgorga naturale e istintiva - è ancora una sorgente inimitabile nel mondo. Quintana e Uran magari non sapranno che sui tornanti dove pedaleranno oggi s’è scritta una delle pagine fondamentali della storia d’Italia del secolo scorso. A noi invece verrà spontaneo pensare a coloro che non sono tornati, agli eroi senza nomi che in qualche modo l’abnegazione dei ciclisti aiuta a ricordare. Applausi per tutti, perché la fatica non ha bandiera ma solo un unico spirito.
Alberto Piovi