L'alba di una nuova stagione fa capolino all'orizzonte e nella luce travolgente, quasi primaverile, delle Canarie Damiano Caruso scalda gambe, muscoli e cuore. Il 37enne siciliano della Bahrain-Victorious è pronto a una nuova stagione - forse l'ultima - di una carriera solida e costante a cui forse manca solo un punto esclamativo. «Devo dire che la preparazione sta andando nel verso giusto, fortunatamente non c'è stato nessun intoppo nei mesi invernali. Da questo punto di vista mi posso ritenere soddisfatto».
Caruso, quando il suo debutto?
«Il 19 febbraio al Giro dell'Algarve, in Portogallo. Poi sarò alla Tirreno-Adriatico prima di tornare alle Canarie con la squadra per un nuovo blocco di lavoro in altura. Andrò al Tour of the Alps e poi mi concentrerò sul Giro che sarà il grande obiettivo stagionale mio e di Antonio Tiberi: il mio ruolo sarà quello di supportarlo al meglio in questa prima parte di stagione. E, perché no, ritagliarmi lo spazio per qualche soddisfazione personale,
dato che molto probabilmente questo sarà il mio ultimo anno in gruppo».
A gennaio parlò di ultimo anno al 90%.
«La percentuale per ora lasciamola a quel novanta... ma ho fatto un patto con me stesso: la decisione ufficiale la prenderò a metà stagione. Non è soltanto una questione di fisico, ma soprattutto di cuore».
Sarà l'angelo custode di Tiberi al Giro e per tutta la prima parte di stagione. Cos'ha di speciale Antonio?
«Antonio è un giovane molto promettente, al debutto da leader in un Grande Giro ha già fatto vedere qualcosa fuori dal comune. Ha dimostrato di essere sulla strada giusta nella sua evoluzione di carriera visto che ancora deve raggiungere la piena maturità anche dal punto di vista fisico. Da compagni di camera io e lui passiamo tanto tempo insieme: tra gare, allenamenti e ritiri praticamente passo più tempo con lui che con mia moglie e i miei figli! Abbiamo un rapporto armonioso, fraterno. Ci aiutiamo e ci supportiamo a vicenda: sono fortunato ad avere questo tipo di rapporto con lui».
Il ciclismo e i suoi protagonisti stanno cambiando: invidia Antonio e le nuove leve?
«Essere corridore oggi significa lavorare davvero tutti i giorni, è diventata una professione che non ti permette di commettere il minimo errore in termini di preparazione, alimentazione e vita d'atleta. Sei costretto a portare il tuo corpo al limite e di mantenere la miglior condizione quasi per tutta la stagione. E' difficile e infatti l'età media si sta abbassando, i corridori sono già impostati professionalmente dalle categorie minori e arrivano in gruppo già competitivi. Nel confronto con i grandi fuoriclasse, poi, già gareggiare con loro è una sfida: non si parla di persone normali ma credo dei migliori corridori da trenta-quarant’anni a questa parte e nel caso di Pogacar, forse, del ciclista più forte di tutti i tempi. Non le invidio le nuove leve, avranno tanto da lavorare e da faticare e a volta potrà essere davvero frustrante».
Il ciclismo che lascerà sarà più sicuro di quando ha cominciato?
«Non lo so. In gara si cercano nuove misure andando un po' a tentativi, ma non vedo nessun miglioramento concreto. Il problema vero è sulle strade, in allenamento: io ho più paura ad allenarmi che a correre in gara. È un discorso complesso, trovare una formula che funzioni non è semplice. La direzione intrapresa non è affatto piacevole».
Se scava nel cassetto dei sogni c'è ancora qualcosa?
«Mi piacerebbe tornare a vincere una tappa al Giro d’Italia. Farlo nell’ultimo anno della mia carriera sarebbe davvero speciale. Mi piace sognare con i piedi per terra, credo di aver scelto un sogno che in fondo al cuore ritengo realizzabile».