Home

Calcio

Formula 1

Moto

Motori

Basket

Tennis

Volley

Tuttosport

LIVE

Pantani, 20 anni senza: vita sempre in salita, divinità umana come nessun’altra

Getty Images

Il 14 febbraio del 2004 ci lasciava il Pirata, campione che aveva saputo conquistare il cuore dei tifosi non solo italiani, insuperabile esempio di forza e istinto

Vent'anni dopo Marco Pantani è ancora qui. È nelle tv, nei social, nelle strade dove il suo nome è unione eterna di asfalto e vernice, sublimata dalla sua storia. È nei ricordi, personali e condivisi. Quelli che diventano memoria collettiva, quelli che evolvono nel mito. È nell'immagine sfocata di una tv che nel caldo di luglio dava un motivo per non addormentarsi al pomeriggio, perchè c'era il Tour de France. È nella scarica di adrenalina di una notte fredda di un sabato speciale, San Valentino, quando si fa largo la notizia che lui, a soli 34 anni, non c'è più.

E invece eccolo ancora lì, giallo e vivido. Come in un attacco dei suoi su quelle salite che affrontava con la bandana il più veloce possibile “per abbreviare la mia agonia”. Prima dei watt, dei picchi di forma, delle tabelle e dei marginal gains, Pantani era potenza e istinto insieme. La sua classe, la sua abilità di divorare salite e avversari con una lucidità spiazzante, però, è solo una parte del racconto. Con la sua storia Pantani è riuscito ad essere più di un ciclista. Pantani è leggerezza e sofferenza, è trionfo e caduta, è forza e sfinitezza. È amore, in tutte le sue sfumature. Quello di mamma Tonina, quello di gregari, compagni e avversari. Quello dei tifosi, incrollabili o occasionali poco importa, che Marco Pantani ha saputo unire come pochi altri nella storia sportiva d'Italia.

È stato Coppi e Bartali insieme, è stato Moser e Saronni nello stesso momento. Anche perchè il suo avversario era invisibile, sempre vicino e sempre diverso. È l'auto che lo investe in allenamento nel maggio del 1995, facendogli saltare il Giro. È il fuoristrada che lo falcia alla Milano-Torino dello stesso anno, costringendolo a letto per mesi. È Puffy, il gatto che provoca la sua caduta in discesa al Giro del 1997. Quegli infortuni, quella umanità, quella sofferenza sono state la chiave per entrare nel cuore della gente. In quegli incidenti, dolorosi quanto innocui nello scalfire la sua volontà, c'è la sua essenza. Intatta, asciutta, genuina. Il 1998 lo consacra alla storia. Giro e Tour, uno dopo l'altro. Nessun altro ci è più riuscito. Ci riproverà Tadej Pogacar, tra qualche mese.

È Marco ad aver messo l'asticella lassù, dove nessuno è più arrivato. E poi Madonna di Campiglio, nel 1999. La cacciata dal Giro per l'ematocrito alto. Tappa fondamentale quanto buia di una personalissima Via Crucis, fatta di gioie e dolori: Mortirolo, Aprica, Plan di Montecampione, Alpe d'Huez, Valico di Chiunzi, Les Deux Alpes, Oropa. E poi Courchevel, quando la luce era ormai affi evolita, fino a spegnersi del tutto in un residence di Rimini, Le Rose, quella notte di venti anni fa.

Abbonati a Tuttosport

L'edizione digitale del giornale, sempre con te

Ovunque ti trovi, tutte le informazioni su: partite, storie, approfondimenti, interviste, commenti, rubriche, classifiche, tabellini, formazioni, anteprime.

Sempre con te, come vuoi