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Tiro con l’arco, Mauro Nespoli: “Parigi 2024? Punterò a due medaglie”

Tiro con l’arco, Mauro Nespoli: “Parigi 2024? Punterò a due medaglie” Getty Images

L’arciere prepara le prossime Olimpiadi e si racconta dal raduno a Cantalupa: “Vorrei arrivare fino a Brisbane”

Nella valle del pinerolese, in un gioiello di area sportiva. Lì si allenano, poi vanno in gara e tornano ad allenarsi i nostri arcieri olimpici. Il campo, il bersaglio, la palestra, l’albergo. Insieme, un po’ lontani da tutto. Del resto si tuffano nel mondo e nella popolarità una volta ogni 4 anni. A Mauro Nespoli, 35enne dall’Oltrepò Pavese e amante della montagna va bene così. Lì si prepara a inseguire la quarta medaglia ai Giochi: «Sono rimasto molto soddisfatto del risultato di Tokyo, un’iniezione di energia in vista dei prossimi Giochi, per provare a ripetere e migliorare».

Nespoli, come funziona la qualificazione olimpica? Sempre complessa?

«Le prime carte saranno assegnate ai Giochi Europei a Cracovia in giugno per l’individuale maschile e femminile mixed team, una sola carta individuale per gara. La seconda battuta sarà ai Mondiali di fine luglio a Berlino, dove principalmente l’obiettivo è arrivare nelle prime tre squadre, per qualificare appunto la squadra intera e così avere anche tre atlete e tre atleti nella competizione individuale. All’ultima tappa di Coppa del Mondo 2024 ci saranno ancora spot individuali, qualcosa si potrà ottenere poi all’Europeo 2024, ma solo individuale, le ultimissime carte saranno assegnate per ranking list».

Come vi preparate alle difficoltà?

«Si cerca di non lasciare nulla caso, di allenarsi in situazioni più stressanti e complicate di quelle che si troveranno in gara. Il nostro non è uno sport dove l’avversario ha interazione, però possono presentarsi situazioni climatiche, disturbo del pubblico, presenza o assenza di vento, l’orientamento del campo rispetto al sole, cose che possono ribaltare il risultato. Ci si deve allenare all’adattabilità».

Il primo avversario è se stesso.

«Il primo avversario è la mente di se stessi. Sul corpo è facilmente misurabile quanto si migliora in termini di forza, in palestra, o in tecnica, lo vedi dalle dimensioni della rosata e dal margine rispetto al centro. Intangibile è come ti sveglierai la mattina della gara, quale pippa mentale ti inventerai. Io poi cerco di strizzare un occhio all’avversario, perché competere con se stessi talvolta è sovraeccitante».

Nel vostro sport di si diventa popolari solo vincendo qualcosa di grandissimo.

«Fa piacere essere riconosciuti e ricevere apprezzamenti. Allo stesso tempo, non essere seguiti facilita una vita più normale quando usciamo dal campo di tiro. La comunicazione social? Sono presente ma non li uso tanto, ho difficoltà a comprendere il contenuto migliore».

La sua giornata tipo.

«Quando mi alleno è la più semplice e cadenzata. Tre ore di allenamento al mattino con l’arco sul campo: 50% di frecce pulite, tirate senza disturbo, cercando solo il tiro migliore e 50% disturbate da varie esercitazioni più o meno fisiche, più o meno tecniche. Per esempio condizioni di equilibrio falsate, archi più duri o più pesanti, bersagli più piccoli o più lontani rispetto alla gara. Lo stesso il pomeriggio per due ore e mezza, seguito tre volte alla settimana da sessioni in palestra».

La forza è una componente importante. Forza e precisione, difficile metterle assieme.

«A a 36 anni tiro 400 frecce al giorno, fino a dieci anni fa, arrivavo anche a 650. Un arco pesa fra 3 e 4 chili e durante la fase di mira sviluppiamo venti chili in trazione, tenendo l’arco più immobile possibile. Basta fare 20 per x volte e si capisce. Non è uno sport che fa dimagrire. E spesso purtroppo anche da parte dei media si tende a far passare il concetto per cui lo sport è figo da quanto si vede la tartaruga sugli addominali. Il nostro però non è solo un sport mentale».

Ripensando agli esordi, cos’ha guadagnato e perso?

«In più ho l’esperienza nella gestione del momento e la capacità di riconoscere più velocemente eventuali situazioni che differiscono dalla condizione ideale, con un bagglio di opzioni più ampio di scelte. Si perde ovviamente nella componente fisica, la forza. Perciò meno frecce, più finalizzate a ricercare la precisione, una rosata più stretta rispetto al tira-tira-tira».

Come si campa con l’arco?

«Sicuramente grazie ai gruppi sportivi, io sono nell’aeronutica militare, posso fare questo solo con il loro supporto. Altrimenti o si è fenomeni e si vincono tutti i tornei, o tutto si complica. Sponsor. Ne abbiamo di tecnici, non soltanto per il materiale, in caso di vittorie ci sono premi monetari. E poi qualcuno ha sponsor privati che assistono durante la preparazione».

Tre medaglie olimpiche, argento a squadre 2008, oro a squadre 2012, argento individuale a Tokyo. I suoi ricordi distinti?

«Tre olimpiadi diverse. A Pechino la prima, ho vissuto la gioia del debutto e anche un carico di negatività, tensione, difficoltà importante. Abbiamo perso l’oro per un brutto errore mio. Ho fatto un regalo alla Nazionale coreana, è stato difficile superare quel momento. Ho impiegato due anni per rimettermi in carreggiata a livello mentale e trasformare l’errore in esperienza. Londra è stata una grandissima emozione, una figata, non siamo partiti da favoriti, meno responsabilità nonostante arrivassimo da vice campioni. Mi sono goduto ogni singola freccia tirata dall’inizio alla fine, conoscendo meglio i momenti. E siamo arrivati all’oro all’ultima freccia tirata da Michele Frangilli nel dieci a due millimetri dal nove. Secondo me la freccia perfetta, che testimonia quanto ci tenessimo, Non avevamo margine sugli avversari. A Tokyo è stato bellissimo l’argento, ma ancora diversa L’Olimpiade a causa della pandemia. Le difficoltà portate dal covid, che come sportivo avevo potuto scantonare, mi sono cadute tutte addosso. Tamponi tutti i giorni, l’isolamento al villaggio, l’assenza di pubblico e di una festa e dell’idea olimpica. Mi ha messo in grossa difficoltà nei tiri di prova e nella qualificazione. La nostra app immuni era una bambino in fasce rispetto alla loro, eravamo sempre col cellulare a portata di mano, segnalava ogni contatto con positivo. Nei primi giorni non era chiaro come sarebbero state gestite positività senza sintomi o contatti. Un clima di incertezza enorme, quando invece l’Olimpiade è gigante ma viaggia come orologio svizzero. L’Olimpiade per noi è il pubblico, il contatto con un mondo che di norma non viviamo».

Immagini la prossima.

«Dopo 4 Giochi non sei mai pronto, ma credo di avere sufficienti esperienze per affrontarla in maniera ancora diversa. Sono molto curioso, credo nei miei mezzi e in quelli della squadra, non è fuori portata ambire a due medaglie».

Fino a quando si vede con l’arco?

«Sicuramente fino a Parigi, presumibilmente fino a Los Angeles, ma spero di arrivare fino a Brisbane, perché il mio sogno olimpico è iniziato guardando Frangilli, Bisiani e Di Buò conquistare l’argento Sydney 2000. sarebbe molto romantico chiudere da dove tutto è iniziato».

Qual è la freccia perfetta?

«Quella che non ho ancora tirato, non si può descrivere. Quando arriverò a tirare la freccia peretta, sarà l’ultima che tirerò».

Nespoli fuori dal campo di gara?

«Lo stesso che è sul campo, stessi pregi e difetti, carattere difficile, pignolo e meitcoloso. Non sono facile da sopportare. Mi piace camminare in montagna, perché spesso sono solo e non devo discutere con nessuno se non con me stesso. Mi piace cucinare, anche la mia compagna è molto brava ma siccome sono pignolo mi piace sapere cosa mangio. Mio piatto preferito il risotto con la salsiccia, specialità della mia terra, l’Oltrepò Pavese».

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