Roberto Campini: «Ho visto morire Meroni»

Esclusivo: testimonianza inedita a 51 anni dalla scomparsa. Roberto Campini, poi diventato medico del Toro, era sul posto e racconta: «Gigi ucciso davanti a me»
Roberto Campini: «Ho visto morire Meroni»© LAPRESSE

TORINO - «Mi chiamo Roberto Campini. Sono nato il 22 febbraio del 1949. E sono nato non solo a Torino, ma anche del Toro».

«Il 15 ottobre del 1967 avevo 18 anni. Oggi ne ho 69. Ovviamente andavo già da molto tempo allo stadio, avevo visto Gigi Meroni giocare tante volte, tantissime volte. Era subito diventato un idolo anche per me, come un po’ per tutti i tifosi granata».

«Meroni: la farfalla. In campo, con quei suoi dribbling. Gli assist, i gol a effetto. E mi affascinava anche il suo modo di vestirsi e atteggiarsi, ora sbarazzino, ora decisamente beat».

«Pittore in campo, pittore a casa. Dipingeva azioni sul prato e volti sulla tela. Uno splendido calciatore artista. Come nessun altro, mai».

«E io, a 18 anni, avevo tanti sogni. Diversi dai suoi, che a 24 anni era già un calciatore famoso, un’ala anche della Nazionale, ma entrambi seppur in modi diversi sognavamo chissà quale futuro per noi. Lui da campione in campo, e da artista delle tele. E io da liceale appena maturato al D’Azeglio, prossimo a iscrivermi all’università, a Medicina».

«Quella tragica sera mi passò vicino, per la prima volta, poco prima di morire. Non eravamo mai stati così vicino. E subito dopo, così lontani: io in piedi, pietrificato dall’orrore. E lui a terra davanti a me, sull’asfalto, rantolante. Com’è la vita. E come può essere morire».

[...]

«Era buio, la luce dei lampioni era offuscata. Li fissai negli occhi. Cercai soprattutto lo sguardo di Meroni. Il grande Meroni. Sereno, tranquillo, sorridente. Ma non gli restava che un minuto da vivere, forse anche meno».

«Mi passò al fianco, mi superò. Non smisi di guardarlo. Li osservai attraversare di nuovo quel corso. E arrestarsi in mezzo. Poi sfrecciarono delle auto. E dopo un attimo vidi Meroni volare in aria. Non mi accorsi chiaramente come fu colpito, lo vidi solo scaraventato verso l’alto, disegnare una parabola nell’aria».

«E i miei occhi rimasero paralizzati nel seguire quel corpo che volava, come un manichino».

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